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lunedì 16 gennaio 2017

LA SVOLTA CELESTE. IL RISCATTO DI ATLANTE.

Atlante, descritto nell'Odissea come uno dei pilastri del cielo, fu condannato da Zeus a reggere sulle spalle la volta celeste per essersi alleato con Crono nella guerra per la conquista dell'Olimpo, vinta ovviamente da Zeus.

Atlante, costretto a convivere con questo peso per l'eternità, riuscì a convincere Eracle a sostituirlo temporaneamente nella sua punizione, a patto che quegli andasse a raccogliere i pomi d'oro delle Esperidi.
Recuperati i pomi, pero', per Eracle fu assai difficile convincere Atlante a riprendere il suo posto, e dovette ricorrere a uno stratagemma: gli chiese di tenere momentaneamente la volta per potersi mettere sulle spalle un cuscino.

Atlante si riprese il cielo, Eracle se ne andò, si prese i tre pomi, e si fece beffa di lui.

Stefano Parisio Perrotti inverte la tendenza della vita di Atlante, e gli da la possibilità di liberarsi del suo peso. Lo rende autonomo, indipendente, fiero. 

In piccole sculture, tanto entusiasmo. Atlante si riappropria della sua vita, e si gode il piacere di portare sulle spalle un peso leggero, o di non portarlo affatto.






















In mostra al MANN di Napoli, segna per me l'inizio di questo 2017. 

Ironia, semplicità, cultura, immediatezza.






In una piccola sala, un concentrato di emozione, ed un sorriso.




La mostra si intitola "La svolta celeste. Il riscatto di Atlante"


www.pariperro.it

venerdì 28 ottobre 2016

MARINA ABRAMOVIC_THE SPACE IN BETWEEN


La mia illusione che a 70 anni la sofferenza possa essere ormai superata, che la saggezza possa portare alla pace spirituale e che tutta la rabbia dovuta ai tradimenti possa scivolare addosso senza lasciare tracce, si è ormai dissolta.
Marina Abramovic, tonica come poche, nuda come non mai, urla in un silenzio composto la sua disperazione.
Lo fa in una maniera non inusuale, e mi colpisce il fatto che porti avanti lo stesso tentativo di Nick Cave, ossia quello di documentare i pensieri attraverso il video. In due film proiettati nelle sale solo per un paio di giorni, a distanza di una settimana, entrambi esorcizzano le paure, ognuno secondo le sue inclinazioni, attraverso la comunicazione.
Nick Cave, nel film documentario "One more time with feeling", aveva portato con sé una troupe negli studi di incisione del suo album, e anche un po' a casa sua, per raccontare e raccontarsi, in un momento di crisi profonda.

Marina Abramovic, invece,  parte per un viaggio, che la porta nel cuore dell'esoterismo del Brasile.
Tante facce, sguardi profondi ed esperienze singolari, che contengono in sé e poi sprigionano con forza il sapore della magia, che è propria della creazione. Quella stessa magia che Nick Cave utilizzava, o di cui era tramite, nel momento in cui, mettendosi al piano con aria incerta, si lasciava andare alle note, che fluivano secondo una improvvisazione precisa e scandita, dettata, forse dalle stelle.
Certo, questo a meno di considerare che le stelle siano proprio loro, gli artisti al servizio della natura, dei sentimenti nascosti ai più. Depositari di una sensibilità fuori dagli schemi e dal comune, con il compito di spiegarla agli altri, in una frustrazione più o meno costante.
Il metodo Abramovic, che consiste nel mangiare a colazione uno spicchio d'aglio e una cipolla, è quello che le consente, dice, di visitare i posti più impervi del pianeta senza ammalarsi mai.
Libera nella vita ma non nell'anima, si spinge alla scoperta di sensazioni nuove. Beve, mangia, medita, prega, cammina, parla con la gente. Non c'è nulla di artefatto in un viaggio che, come tutti i viaggi, è finalizzato alla riscoperta di sé. Una rinascita, necessaria e inevitabile, dopo una sofferenza che ha pervaso completamente il corpo e lo spirito.
Incontra, sul suo percorso, donne che, nella semplicità e nell'ignoranza, hanno vissuto una vita ricca della gioia di aver aiutato gli altri.
Lei, protagonista indiscussa della sua vita e del suo viaggio, si mette a nudo, spiritualmente e fisicamente, e mostra a tutti le sue debolezze, e contemporaneamente la sua forza, con l'esibizionismo proprio di una donna che  non si vergogna di essere umana.
Piange, si dimena, si lascia toccare, massaggiare, cospargere di terra, ma soprattutto si affida. Nella sua ricerca di un po' di pace, si abbandona a riti tribali e si fa travolgere dalle tradizioni di un paese che non è il suo.
Colori, vibrazioni, intuizioni, empatia.
Il film è un'esperienza, la sua, che sceglie di condividere con il suo pubblico. Si mette in gioco, come lei sa fare, e si concede.
Differente è la sensazione che si prova invece nel sentirle dire che intende lavorare un po' dietro le quinte, verso la fine del film, per rendere  protagonisti delle sue opere i suoi spettatori.
Marina Abramovic è artista e opera d'arte, e questo non potrà mai prescindere dalla sua opera. Sarà sempre al centro di ogni suo progetto, perché il germe di follia che è dentro di lei, può manifestarsi solo attraverso il suo viso, i suoi occhi, il suo corpo, anche se, per un attimo dovesse decidere di mettersi un po' in disparte.
Questo è quello che io, da spettatrice, vedo di lei.

giovedì 20 ottobre 2016

SKELETON TREE / ONE MORE TIME WITH FEELING

L'acqua mi ha sempre fatto un effetto particolare. E' a contatto con l'acqua che spesso mi si illumina la mente.
Due giorni fa, a casa di un amico, Marianne Faithfull. Deep water, musica di sottofondo dei titoli di coda di "One more time with feeling", film documentario sulla sofferenza di Nick Cave.



In bianco e nero, ma più nero che bianco, in inglese, con i sottotitoli, in 3d.
Un senso di nausea che non sai spiegare se sia dovuto al non poterti togliere gli occhiali o alla densità delle emozioni. 
Apnea, è lo stato in cui si trovano tutti quelli che guardano il film con me, estranei accomunati dalla passione per la depressione, forse.
Nick Cave è cambiato, non è più lo stesso, e forse non sarà mai più quello di prima. Nonostante questo, mette tutti in secondo piano con il suo carisma. E' potente la sua immagine, potente la sua energia. Non ha importanza quanto il film sia ben strutturato, ben montato o ben realizzato (3d a parte, che avrei evitato senza pensarci su due volte), perché la presenza scenica, il fascino, l'intelligenza di un uomo che è protagonista del palco come della sua vita, lasciano tutto e tutti in secondo piano.
Ci ho pensato per giorni, senza riuscire veramente ad elaborare i pensieri. Le parole impresse nel cervello, i discorsi metabolizzati in un minuto, i testi delle canzoni spiegati, recitati, indelebili.
E' la vita osservata da un uomo intelligente, che non è sempre a lieto fine, che è cambiata irreversibilmente con la morte del figlio. Una distrazione imperdonabile, un momento di buio dal quale è impossibile risvegliarsi. Un uomo nuovo, vecchio, o comunque non più giovane. Una quotidianità stravolta, che viene osservata con lo sguardo attentissimo di chi sa cosa voglia dire vivere la propria vita con consapevolezza, e che nonostante questo non trova un modo, e non conta di trovarlo.
Illuminante, magico, ipnotico. La devastazione di un uomo condita dall'inquietudine che sempre ha contraddistinto la  sua musica.
Rispettoso, composto, elegante. Lascia trasparire la sua rabbia, la sua frustrazione, ma soprattutto la sua sofferenza, senza cadere mai nel patetico, senza essere mai stucchevole, seppur malinconico.
Questi gli aspetti che riguardano strettamente la "trama" del film.
Un'altra sfera si insinua invece nelle immagini e tra gli spartiti e tra le improvvisazioni, ed è quella che riguarda la magia della composizione. L'ispirazione, quella che sembra arrivare da "altrove". L'artista che diventa un mezzo al servizio di una forza più grande, che lo pervade e che lo anima nel momento della creazione. Una forma di trance, imprescindibile ed inspiegabile, inevitabile.
Skeleton tree è una melodia in cui lasciarsi cullare come dalle onde. Un lamento nel quale galleggiare, un mare semiagitato da cui farsi trasportare, senza mai arrivare alla deriva. Un brodo primordiale di sentimenti di cui non spaventarsi, perché quando ci si accorge di essere stati travolti, ormai è già tardi, e non c'è altro da fare, se non lasciarsi andare.
Trasformare il dolore in creatività è difficile anche per chi nel sangue ha l'arte.
Mostrarsi, senza aver paura di risultare un essere umano (per quanto possibile). Esprimersi, senza essere mai banali, senza cadere nella tentazione di piangere. Resistere, e contemporaneamente abbandonarsi.
Difficile, e comprensibili, come tutte le cose, solo a chi vuol comprendere.
Il film, per chi vuole resistere.
Il disco, per chi vuole lasciarsi andare.

giovedì 19 novembre 2015

Ci tocca, ringraziamo Fendi!

Ebbene sì!
"GRAZIE FENDI", è questo il motivetto che Romani, Italiani e turisti di tutto il mondo dovrebbero intonare in coro davanti alla RESTAURATISSIMA Fontana di Trevi!
La nota casa di moda ha, infatti, finanziato e patrocinato i lavori che hanno ridato lustro e bellezza ad una delle fontane più famose del mondo.


Ma non solo, Fendi, legata da un rapporto d'amore particolare con la città eterna, che ben 90' anni fa le dava i natali, ha deciso di replicare.
"Fendi for fountains" titola l'ambizioso progetto di riqualificazione e promozione del patrimonio culturale della città di Roma, nato nel 2013 proprio in vista dell'imponente restauro della fontana simbolo della dolce vita che fu.

http://www.fendi.com/it/the-magic-of-fendi/fountains
Beh, cosa dire, chapeau, come direbbero gli amici francesi, a questi mecenati 2.0, cultori della moda, che sano valorizzare l'infinito potenziale d'arte di cui pullula la capitale.
Siete passati a Roma in questi giorni?



Io sì e ci sono stata anche un anno fa, con i lavori in corso, motivo per cui DEVO continuare a fare i complimenti a Fendi.
Inaugurata il 3 novembre scorso, la fontana appare talmente bella da risultare nuova soprattutto a quelli che ne avevano un ricordo recente.
Ho fatto un esperimento con più di una persona ed il risultato, o meglio la domanda, è stata simile più o meno per tutti: "è sempre stata questa la fontana di Trevi?" :O
La meraviglia, invece, era palpabile a plebiscito!


Dicevo, o meglio accennavo, che c'è quindi un altro coro da intonare alla maison romana che ha come ritornello il già citato "non solo" almeno per altri 3 motivi, ed eccoveli qua, un, due e tre:

_iniziati nel luglio del 2014 i lavori sono terminati con ben 84 giorni di anticipo (cioè quasi 3 mesi) pur rispettando fedelmente ed alla perfezione il progetto;




_artefici del tutto 3 ditte del restauro [UDITE, UDITE] italiane che, avvalendosi di recenti ed innovative tecnologie hanno rivoluzionato completamente il sistema idrico ed elettrico.
La Fontana è oggi dotata di luci al led che oltre ad illuminare meglio i punti focali della struttura centrale del monumento e a regalare giochi di luci ancora più emozionanti, hanno un consumo energetico veramente bassissimo - per intenderci, una volta tanto, il comune ci andrà pure a
risparmiare - l'acqua è più dolce ed i marmi meno sottoposti all'erosione;


_durante i 516 giorni di lavoro, non è poi stato impedito ai turisti l'accesso alla fontana! [ne sono testimone]
Come?!?
Con  la creazione di quello che è stato definito il "cantiere-show".
Un ponte sospeso per passeggiare lungo la passerella panoramica, da cui era possibile scrutare lo stato di avanzamento dei lavori, una piccola vasca bianca per non rinunciare al rito della monetina...ma non è finita qui!
Se non bastasse, ad impreziosire questa storia, c'è anche il lato social del restauro,
Sì avete capito, dedicati un sito web ed un'app che nel raggio di 200 metri dalla fontana, dava la possibilità di scattarsi un selfie, a richiesta, anche personalizzato!
Tutto ciò ha avuto come naturale consecuzione un boom di visitatori che solo nel primo mese si è attestato sulle 1200 persone all'ora!


Avere dubbi sul fatto che tutto ciò sia avvenuto in Italia, è, ahimè, un fatto più che lecito, tant'è che in questi casi, come con la più banale bilancia, la fisica impone che quanto più Fendi sale verso l'alto, il comune di Roma ed il governo italiano sprofondano verso un basso indefinito.
Non che non si apprezzi un gesto d'amore e  filantropia come questo, anzi, che si prenda prontamente esempio da chi, avendone possibilità, vuole fare questo passo indietro nel tempo riportandoci al mecenatismo rinascimentale, ne siamo ben lieti, io personalmente ne sarei molto fiera, ma nonostante questo, le domande sorgono spontanee e necessariamente al plurale: 

Bisognava aspettare una seppur rinomatissima casa di moda per intraprendere e saper gestir un restauro con competenza, intelligenza, fedeltà al progetto, rispetto dei tempi e perché no, un grande ritorno economico e d'immagine???

Mah...io comunque la monetina l'ho lanciata, e non quella da un centesimo! [lo giuro]...





martedì 21 luglio 2015

Lavori in corso_"Har- the sequence of Deb′o·rah"

Secondo video del progetto - installazione "Har-".

Note di regia:
Liberamente ispirato alla figura della profetessa israelita Deborah, dal Libro dei  Giudici, il  video intende narrare una sequenza o, simbolicamente, un  canto.
Una  performance atta a rappresentare il pensiero  di  una  donna o, più semplicemente, di un essere umano.
Una domanda, alla base di questo progetto:
"gli umani, di cui ogni giorno osserviamo le scelte e le azioni, quanto  osservano  i  propri  pensieri?  E  noi?"
Ciò  che  gli  uomini  guardano  sono  le  espressioni.  E la  poesia  sta nel  pensiero.  Deborah  è  consapevole  che  tale  riflessione  sia  letta  da  Dio  e  per  questo  è  a  Lui  che dedica il suo canto, a Colui il quale ne  conosce  tutte  le  intime inclinazioni  e che  ci  invita,  liberamente,  a  "guardarci"  un  po'  più  in  profondità.


Le  azioni  di  noi  uomini  sono  incredibili  ed  le nostre espressioni estremamente varie. Quanto riusciamo veramente a leggerle? 
Il video non è di certo un documento  sulle  sinapsi umane,  ma   la  performance  di  Silvia  Bruni.
Deborah  l'israelita  è  stata  "un  Giudice",  ed  insieme  a  Dio  ha  vinto  una  guerra. 
"Ma  quale  guerra posso  vincere  da  solo?  e  quale  esempio  mi  insegna  l'antichità?"
Ancora  in  lavorazione,  il  video  avrà  una  durata  massima  di  4' .
E'  stato  girato  in  totale  work  in  progress  al  teatro  Lolli  di  Imola - Bologna.



Un ringraziamento particolare va all' associazione TILT  Teatro di  Imola  (BO).

Altri ringraziamento vanno allo scultore Antonio Canova, a Silvia Bruni, performer già presente in Har- da Sofonia, ed al personaggio di Deborah.

regia_ Donato  Arcella
performer_ Silvia  Bruni
tech_ Luca  Tanieli



Donato Arcella_
- IVHAM '15 New Media Arts Festival - Madrid - Spagna, Fest invitado Magmart - Napoles.
- Overflow Transborda '15 Videoart  Alcobaca - Portogallo
- Streaming Festival video art - L'Aja ( NL ) and BOX Videoart Project - Visualcontainer    Milano - Italy. '14
- Human Rights? Internazionale di Arti visive Trento - Italy. '14
- XXXFuorifestival - Arte,  video  e  altre  culture…  Pesaro-Urbino  Italy. '14
http://www.premioceleste.it/donatoarcella

sabato 12 aprile 2014

Installazione da Sofonìa

Har- 1Ts V 1-3

Un tripudio di occhi neri ed espressioni folli.
Sofferenza, forza, audacia, le emozioni che traspaiono dall'ultimo esperimento di Donato Arcella.

Il  video  è  una  performance  ispirata  alla  lettura  del  Libro  di  Sofonia,  libro  tratto dall'Antico Testamento  biblico.



L'audiovisivo  è  parte  del  progetto  HAR-  (monte),  che  includerà  un  portfolio fotografico costituito da fotogrammi tratti dalle  stesse  riprese,  e  video,  tra  sequenze  in  loop  e video  di montaggio.

Si tratta di una "installazione  work  in  progress", senza alcuna sceneggiatura, in cui i personaggi si muovono sulla scena con interpretazioni studiate e consapevoli, ma libere.

 
"Più  che  ispirati  dalle  letture  bibliche, che  riteniamo  senza  tempo, più  precisamente ne siamo  influenzati.  Ciò  che  ci  preme  è  un' attenta  lettura  del  testo, che  poi  diventa libera performance.  
La  regia  è del tutto in divenire.

 
La  scelta  dei  Libri  è  dettata  dalla  poeticità  e dalla  forte  veracità  delle  Scritture,  i  cui significati ci  raccontano  sempre  un' attualità  dello  stato  dell'uomo  e,  spesso,  la sua  incapacità  di camminare  da  solo ". 

Pochi secondi, che vale la pena guardare:

HAR- Donato Arcella

titolo:  Har- 1Ts V 1-3
regia:  Donato Arcella
montaggio: Emmanuele  Pinto
T.I.L.T. group - Imola
Teatro  Lolli  di  Imola ( BO )

1'37". bn. Italia. 2014

sabato 6 aprile 2013

VENTINOVE, una giornata del cazzo...E IL MONDO NON C'è PIù

Titolo il post per citazioni, se Riccardo Ceres me lo concede, e sintetizzo due emozioni, diverse e difficili da raccontare: quella di aver assistito al  reading natalizio “VENTINOVE, UNA GIORNATA DEL CAZZO”, e quella di aver metabolizzato il suo ultimo disco               “E IL MONDO NON C’è Più”.

Scrivere di un evento di Natale a Pasqua è nel mio stile. Ma il tempo, si sa, è relativo.

E con i tempi lunghi di chi assimila con calma, come l’insulina (retard) che si somministra per la notte, a rilascio lento, a riequilibrare una dolcezza nascosta nel sangue, a cinque mesi dall’uscita del disco, dipendente come da ogni nota che smuova il mio interesse, posso dire di averlo ascoltato molto, e sempre di più. Del resto “quaggiù”, direbbe lui, “siam solo diabetici poeti ed usurai”.

Ben lontano dall’essere, e soprattutto dal voler essere, un fenomeno di massa, accattivante e seducente, mi stupisce ogni volta la facilità con la quale alcune delle sue espressioni mi si ripropongano nelle situazioni più disparate, radicate e inchiodate inconsapevolmente nel cervello delle persone che mi stanno intorno, le quali, già dai primi ascolti, titubanti e diffidenti, non possono fare a meno di assorbirlo e di citarlo.


                                                                                                           
Se l’atmosfera dark si mantiene costante, è senza dubbio più rarefatta rispetto al disco precedente.                
La copertina è bianca, ed è anche un po’ delicata, stordita ormai dalle mie impronte, la dedica un po’ sbavata, e dal continuo sballottamento tra macchina, casa ed ufficio....