martedì 22 maggio 2012

YolanCris e le sue “7 promises"


Tutto inizia con un like, una mail ed un invito.



La squadra è convocata, destinazione "Barcelona Bridal Week"!
Siamo state selezionate per il fashion show di Yolan Cris
Estasi e godimento iniziali poi la consapevolezza che in quei giorni Manuela sarà a NY, così stizza, tanta. Come al solito sempre tutto insieme! 

Attendiamo i report ufficiali e i video della sfilata, che avremmo dovuto vedere dal vivo, per raccontarvi le nostre emozioni come se fossimo state lì.


Ho inziato quest'anno con la promessa solenne di bandire dal mio vocabolario una serie di vocaboli inflazionatissimi, e tra questi "eclettico", ma più guardo la sfilata e più non riesco ad uscire dall'entusiasmo di un eclettismo variopinto e brioso.

Abiti da sposa che divertono e incantano, abiti per “7 promises” , sette donne, sette filosofie di vita, diverse inconciliabili, meravigliose e tutte sognanti.

Donne evanescenti e senza tempo, Heavenly Sisters, la prima categoria femminea che apre la passerella, fatta di pizzi importanti, gioielli appariscenti e femminilità allo stato puro, grossi drappeggi e spalle ben definite, donne senza tempo che sfilano sulle note di una musica lontana e magnetica.




Irriverenti e beat le spose della linea Iconic, it girls anni 60, che saltellano divertite e provocatorie sfoggiando corti abiti esagonali, e proclamando tutta la ribellione della generazione pur rimanendo in avorio.




Tutt'a un tratto la musica cambia, disco dance e ragazze che si impongono in passerella quasi fossero delle rock star, inconfondibili, sono le spose della line Ibiza. Accostamenti audaci e compositi, stile da drag queen sofisticata che tanto rimanda a Gloria Gaynor o Whitney Houston degli anni migliori,. Una sposa che sfoggia senza paura pantaloni in raso e pizzo, drappeggi vittoriani accostati a tulle e strascichi ricchi di balze, c'è anche una gipsy sposa, con tanto di foulard e maxi gonna, sofisticata, provocatoria e bellissima.




La vediamo da lontano, viene dagli anni venti, sventola un ventaglio pieghevole ed ha una bellissima fascia swarovski nei capelli , è Mademoioselle Vintage. Tanta luce e tanti accessori per questa diva d'altri tempi, post bellica e delicata, dal punto vita poco sottolineato ma longilinea e di gran classe. Frange guanti e coroncine completano look perfetti, che sembrano tratti da un film in bianco e nero e ci fanno sospirare.




La musica continua a cambiare, virando verso la modernità e gli eccessi, dalle linee essenziali, raso e seta, ai drappeggi e le balze ostinate. Pizzo e tulle oltre ogni limite.
Silhouette mai volgari, anche negli eccessi sempre perfettamente bilanciate, spose con gli occhiali e e i collant deco, è la promessa della Chelsea Girl ispirata a Jim Morrison, Janis Joplin and Leonard Cohen.



Opera Prima, presenta la promessa innovativa, fatta di abiti eleganti ma semplici , spinti dall'idea di utilizzarli, abiti basici, skinny e giacche che abbattono l'idea del matrimonio sofisticato e inaugurano una semplicità regale.

Chiude il defilè una carrellata di abiti da sogno, l'haute couture di yolan cris, abiti per vere dive, gioielli sartoriali sofisticatissimi. Tulle impercettibile sulle braccia dove si posano fiori e ricami come se fossero modellati sulla pelle, trasparenze eleganti e ricami preziosi a coprire i punti più nascosti della femminilità.



Spose che affermano carattere e non rinunciano ai loro desideri, al rock e al vintage e diventano protagoniste del loro giorno più importante.

Nella testa scelte musicali ineccepibili, negli occhi luce e scintillii, che sfiorano inevitabilmente la sensibilità della maggior parte delle donne affezionate all'idea del matrimonio , nelle mani la voglia di diffondere il genio di questi artisti straordinari.



Non mi sto sposando, nè lo farò a breve ma devo ammettere che ho desiderato ardentemente diversi abiti di questa collezione.

Il video della sfilata:
YolanCris 2013 fashion show / Part1
YolanCris 2013 fashion show / Part2

domenica 20 maggio 2012

NY SHOES


Ci sono due posti nel mondo in cui ho visto pareti di scarpe. Del primo vorrei evitare di parlare, perché è veramente troppo triste. Il secondo, invece,  è il CONVERSE Soho Store di New York, tra Prince street e Broadway. E questo invece, non è triste per niente! La cortesia standard che ho trovato in tutti i negozi della mela è assolutamente diffusa anche qui. Ragazzi gentili, sorridenti e disponibili, ti aiutano a frugare tra le taglie, tra i milioni di scatole di scarpe, e a decifrare i numeri in tutte le lingue.

Certo, le speculazioni sui prezzi delle magliette, dei jeans e delle scarpe, sarebbero un ottimo argomento da trattare, oltre che un buon metodo di valutazione per capire se fare incetta o meno all’estero. Chiaro che io, da italiana, avessi messo lo shopping all’ultimo posto nella lista delle cose da fare lì.  (Questo ovviamente, fino a prima di trovarmi sulla quinta strada l’ultimo giorno a sperperare tutti i miei averi… ma questa è un’altra storia!!)
Secondo i miei calcoli, approssimativi, i vestiti ,in generale, mi pare costino un po’ meno, mentre le scarpe più o meno come qui. La tragedia più grande però, è stata scoprire che nemmeno dall’altra parte del mondo sono più reperibili le converse a stivaletto che indossavo quando avevo dodici anni. Depressa, ho dovuto accettare l’idea che ny non sia un contenitore di tutto lo scibile dell’universo, e nemmeno un posto magico nel mondo in cui potersi procurare ogni cosa! Però… che peccato!! Depressa, esco di li con una maglietta e con un paio di ballerine, le prima che mi siano entrate nella mia mia vita.

Tornata a casa, la prospettiva completamente stravolta, devo sopravvivere all’impatto con la realtà.E mi sento contenta, in fondo, guardando le mie scarpette rosse al sole! 



 Si… certo… sono  solo scarpe.. bla bla bla… ma le donne sanno quanta soddisfazione possano dare!!!




mercoledì 16 maggio 2012

Tu vuo’ fa’ l’americano!!!Starbucks a Napoli?


Starbucks in Italia. Anche a Napoli. Perdonate l’apertura nuda e cruda, ma serve per riagganciare il discorso qualche riga più in basso…

Stiamo inesorabilmente diventando un popolo di esterofili, noi italiani, per certe cose. Medaglia d’oro nel reputare l’erba del vicino un po’ più verde della nostra. Da un po’ anni a questa parte sta scemando, soprattutto nel modo di vivere delle ultime generazione, l’ideale collettivo dell’italians do it better, famoso slogan lanciato tramite t-shirt da Madonna negli anni ’90 (e non mi riferisco, come la cara signora Ciccone, al solo sesso).



Si, è vero, questa temporanea diminuzione dell’orgoglio nazionale può essere dovuto alla nascita fisiologica di validi concorrenti stranieri, o all’altrettanto fisiologica mancanza di ricambio generazionale in diversi ambiti, dal cinema (dove con maestri del neoralismo e della commedia all’italiana quali Fellini, Monicelli, Risi, De Sica abbiamo creato modelli imitativi ineguagliati e che facevano incetta di premi Oscar), alla moda (con le centenarie produzioni di Gucci, di Prada, o quelle un po’ più recenti di Valentino), fino all’industria (il mito Ferrari non ha bisogno di descrizione alcuna). Tuttavia, c’è una cosa che è da sempre sinonimo di made in italy, un’eccellenza inarrivabile, un vanto per la nostra nazione e che a causa di un certo andazzo si vede minacciata: LA BUONA TAVOLA! Sfide impensabili fino a qualche anno fa: kebab vs pizza, hamburger vs pasta, cupcake e muffin vs tiramisù e sfogliata. Fino alla sfide delle sfide: caffè napoletano vs caffè (?!) americano!
Una cosa che sa tanto di sacrilegio! Ed ecco che mi riaggancio all’apertura nuda e cruda: Starbucks in Italia. Anche a Napoli.



A Napoli, la patria mondiale del caffè, la capitale universale della tazzina d’espresso. La terra di gente che decenni fa partiva alla volta del nuovo mondo per esportare, con successo planetario, il proprio prelibato marchio di fabbrica, la pizza, e che negli ultimi anni ha visto uno sbocciare improvviso di kebabbari, ora si vedrà stuprare culturalmente anche da quegli orribili bicchieroni che tutto potranno contenere tranne che qualcosa di pur solo lontanamente paragonabile al caffè vero e proprio.



Un paio d’anni fa lessi un articolo in cui si raccontava l’incredibile anomalia napoletana: una delle poche città dove un McDonald’s aveva dovuto chiudere! Era palese il motivo: pizza, crocchè, panzerotti e zeppolelle avevano messo K.O. hamburger, cheeseburger e simili. Chissà, magari anche stavolta succederà un altro piccolo miracolo, magari la piccola tazzina-Davide avrà la meglio sul frappuccino-Golia.


Dopotutto, come si dice: il napoletano si fa secco, ma non muore….

lunedì 14 maggio 2012

Bellini a luci rosse

Ebbene si.. L'ho fatto! Alla fine sono andata anch'io a puttane al Bellini!

Ad ottobre non mi ero fatta tentare da un teatro illuminato di rosso che apriva la stagione con un lavoro “Dignità Autonome di Prostituzione” il cui titolo mi sembrava troppo piacione, troppo ammiccante ai più ovvi istinti umani di chi dello steap-tease ne ha fatto disciplina ginnica...ma adesso, complici anche le miriadi di commenti ascoltati, non ho potuto esimermi e mi sono concessa un paio di serate di sfrenata lussuria.



L'illuminazione esterna mantiene le suggestioni promesse e si accede ad un foyer rosso fuoco arredato in modo geniale e sregolato che ricorda un'ambientazione alla Davind Lynch, ma più barocca.
Lo spettacolo inizia da lì, gli attori, uomini - donne - travestiti, fanno irruzione tra il pubblico mentre su di un trono sistemato al centro inizia una performance di danza. Poi, arrampicandosi su per scalinate rosse di rosso illuminate ci si sposta tutti verso la platea esageratamente rossa e fumosa, smantellata di modo che al centro ci sia spazio per un pianoforte, qualche microfono, e per ballare o sedersi a terra.
La musica non manca mai,  gli attori irrompono sul palco e dai 5 piani di palchetti intonando una nenia che fa tanto coro-da-tragedia-greca  mentre dall'alto piovono biglietti  le cui due  prime righe citano  “perchè l'Italia è un paese di  atristi, soltanto sui poster nei bagni dei cessi....”
Mi sembra tutto bellissimo e con sorriso perenne come un'ingorda di botox mi compiaccio di certo coinvolgimento “e siamo solo all'inizio..”

Parte lo show e tra luci, musiche e siparietto trans-burlesque si svela il mistero: ci troviamo in un enorme bordello in cui, armati dei nostri dollarini, dovremmo contrattare con le prostitute e i prostituti le loro performance teatrali, che avverranno nei luoghi più disparati del teatro. La scelta non manca ci sono il Pompei (che va in giro illuminando con una torcia i davanzali fioriti di divertite signore...), la RaccontoDuePunti, l'Industriale, La MeglioDiNiente, Lolitina e Gnegno, completano la Tenutaria della casa chiusa dell'arte e la sua bizzarra “famiglia”. Le performances, almeno quelle a cui ho assistito, sono monologhi del teatro classico e contemporaneo tutti con un'impronta fortemente drammatica, tutti molto belli, tutti molto “non me l'aspettavo”. Lo spettacolo parallelo però va in scena fuori, mentre mandrie di clienti vagano, contrattano o si intrattengono ballando, alcuni vivono una vera e propria sindrome di Stendhal applicata al teatro, altri inneggiano ad Amsterdam e all'amore libero...mi sento sfatta, decido di andare a bere una doppio malto giù al bistrot con il trans-burlesquer (il cui punto vita nonostante i galloni che ingurgita è la metà del mio), riemergo dai fumi dell'alcool per andare a fumare una sigaretta fuori e sorpresa, posso farlo ma...solo coprendo la testa con una veletta bianca!Perciò trascorro qualche minuto in quello che sembra un raduno di suorine tabagiste!! Geniale questo Melchionna (il regista...) Intorno all'una e mezza veniamo ricatapultati giù per le scale una musica frenetica ci investe mentre scorriamo di fianco agli attori che in fila verso l'ingresso ci abbracciano e ci salutano....   
ho goduto molto... e ci sono tornata ancora.
Viziosa.
Voi che aspettate a frequentare case chiuse dell'arte?

venerdì 11 maggio 2012

The Winner is...

Siam qui!
Abbiamo scelto i vincitori del contest "Fumo Fucsia !!!!??? What's it for you?!"
Non vi tediamo millantando selezioni lunghe e meticolose,
abbiamo individuato i winners in maniera istintiva, istantanea e decisa.
E così....



giovedì 10 maggio 2012

ALL (W)RIGHT! 1071 5th Avenue, NY


1071 5th Avenue, New York, NY 10128-0173.

















Se le parrucchiere crescono col mito di Barbie, i musicisti con quello di Elvis, gli idraulici con quello di Super Mario, gli architetti vengono educati col mito del GUGGENHEIM. Non ha importanza cosa ci sia dentro! 
Che poi ci sia il meglio dell’arte nel mondo in generale, è un dettaglio.

Non esiste un architetto che non abbia impresse nel cervello, indipendentemente dal fatto che possano piacergli o meno, le immagini del Guggenheim di Bilbao e di quello di New York. Si è vero… ce ne sono altri, due, lo sappiamo… sono quattro e si scambiano le collezioni. Ma a noi non “ci” interessa! Quello di Berlino e quello di Venezia, per quanto importanti, non occupano lo stesso spazio nel nostro cervello. Quando arrivi a Bilbao, o in questo caso, a New York, devi andare, come se fossi posseduto, a vedere coi tuoi occhi quello di cui hai sentito parlare troppe volte. Non ti ricordi niente (almeno a me succede cosi). Hai rimosso tutte le informazioni vagamente utili: non sai più quando l’hanno fatto, non sai perché, e non sai come. Ci sono solo due cose che ti rimbombano della testa: l’immagine, e FRANK LLOYD WRIGHT.







Esci di casa, con la mappa sulla quale questi poveracci non hanno segnato i punti più importanti della città, e sulla quale hai dovuto ristabilire tu la scala di valori con l’evidenziatore lilla, e cominci il tuo percorso verso “il mostro”. Non vuoi prendere la metro, e ti sembra vicino. Sai che quei piccoli quadratini coi numerini… 85, 86, 87, in realtà significano chilometri a piedi, ma la verità è che tu vuoi goderti lo spettacolo da lontano, e devi soffrire per arrivarci.

Freddo, poi caldo, poi stanchezza. Arrivi. Tutto è bianco, e tu sorridi. La spirale, come stelle filanti, l’avevi vista mille volte, ma non te la immaginavi così. Il parco di fronte, e una situazione familiare. In una città dove tutto è alto, tutto ti sovrasta, il museo bianco, da elemento alieno al contesto, in fondo ti risulta quasi familiare, attraente come la casetta di marzapane.

















Le sculture di John Chamberlain non riescono ad attirare la mia attenzione, mentre il bianco mi assorbe e le spire mi attanagliano. Una perla perfetta posizionata in un posto riservato, per la gioia di chi riesce ad apprezzarne i dettagli. Un capolavoro che non può non risultare piccolo e raccolto in una città in cui tutto è sovradimensionato e le stazioni di polizia illuminate a festa. Entrati nel tempio, bisogna dimenticare, ed è facile, tutto quello che c’è fuori. Resettare. E godere della bellezza di un’architettura di 50 anni fa. Il disegno del Guggenheim di Wright, finalmente, assume un’immagine definita nella mia mente! 










sabato 5 maggio 2012

Il GIUBBOTTO, MANUEL, E IL RISPARMIO ENERGETICO!




















Giovedi 3 maggio, ultima tappa del viaggio New York – Napoli. 

Parto da Malpensa alle 14:00, già d’accordo con Francesca, che mi venga a prendere alle 16:00  all’aeroporto per correre da Manuel a farci autografare il cd. Appuntamento alla Fnac, ore 18:00.

La puntualità, si sa, non è il nostro forte! Raggiungiamo la destinazione più di un’ora dopo, ascoltiamo le ultime note dell’ultima canzone, e ci mettiamo in coda per una foto al volo e una scarabocchiata sulla copertina del cd.

Francesca sembra in fila per ricevere il miracolo.

Arriva il mio turno. Mi avvicino, e saluto: “ciao! Ce l’abbiamo fatta!” Manuel mi guarda, e mi dice: “bello questo giubbotto, ce l’ho anch’io! È il mio? Me l’hai rubato!” io rispondo, un po’ rincoglionita: “si! Puoi scrivermelo qua sopra?” “certo!”

… e pensare che prima di partire avrei voluto lasciarlo nel primo cestino della spazzatura di Manhattan, come gesto simbolico per indicare l’inizio di una nuova vita!! Ahahahaha! Beh, il risparmio energetico è sempre un fatto positivo! e ci sono cose di cui, in fondo, non ha senso liberarsi!