mercoledì 25 giugno 2014

Pearl Jam_ Milano 2014

Una promessa e' una promessa:



Rolling Stones: ce li ho; Beatles, Janis Joplin, Jimi Hendrix, mancano (ma prima o poi dovranno pur inventarla la macchina del tempo); Bob Dylan ce l'ho; Lou Reed ce l'ho; David Bowie manca; The Who ce li ho; Neil Young manca; Led Zeppelin e Pink Floyd ce l'ho? (qui la faccenda e' complicata e per non offendere nessuno un bel punto interrogativo ce lo metto). Springsteen ce l'ho; Patti Smith, REM e U2 pure; Nirvana mancano (nessuna giustificazione, 13 anni sono un età sufficiente per essere accusato di negligenza). Radiohead ce li ho da molto prima di voi e se non potete portare a testimonianza una matrice di un biglietto del 96' è inutile che contestiate; i Cure, ce li ho; Blur, Oasis e Pulp ce li ho, e dovrebbero pagarmi solo perché li metto in questa lista.
Coldplay mancano e forse continueranno a mancare. Ramones e Clash mancano, ....cazzo quanto mi mancano. Gli italiani migliori ci sono quasi tutti (De Andrè a parte). Foo Fighters ce li ho, e si... stanno benissimo in una lista che comprende pure i Beatles... non rompete. The Withe Stripes avrebbero potuto esserci, e come loro molti altri, ma i Pearl Jam......i Pearl Jam mancavano, e nessuna raccolta in ambito musicale può dirsi completa se ti mancano i Pearl Jam, a maggior ragione se hai 33 anni e non hai la giustificazione di aver fondato una religione o aver inventato Facebook.



Tutto quello che puoi fare quando si degnano di venire a suonare a qualche centinaio di chilometri da casa tua per consentirti di non sentirti più in imbarazzo nelle discussioni musicali, è mettere le tue cose in uno zaino, cercare una tariffa decente di trenitaglia (Zerocalcare copyright), e partire senza incazzarti troppo se i biglietti migliori vanno via ancora prima che tu possa accendere il computer.
Eddie ti compenserà di qualsiasi sforzo, di qualsiasi brutto posto a sedere, di qualsiasi vicino di concerto/tecnico musicale esperto competente, e ti ripagherà già alla terza nota, semplicemente perché è la miglior voce della sua generazione; uno dei pochi che non ti farà mai sentire in imbarazzo per essere un suo fan, uno a cui vuoi bene nonostante sia stato baciato dal successo, dalla bellezza, dal carisma, dall'intelligenza (chi invece, non ha mai avuto l'istinto di tirare un pugno a Bono alzi la mano.....su su siate onesti, su quelle braccia).


Forse perché ha avuto il coraggio di scavare nella parte più cupa, lasciandoti vedere una via di uscita, o forse perché fa parte di quella categoria di supereroi fragili, quelli che ti dicono "guardami, non sono perfetto, non ho i superpoteri. Qui ci sono la mia depressione, i miei problemi, i miei sbagli eppure faccio quello in cui credo, perché tu non potresti farlo?" I periodi neri, personali e della band, vengo ricordati più volte all'interno del concerto, i fantasmi sono sempre li presenti, ma ora il cantante dei Pearl Jam ha imparato a conviverci, ed è in una serata di grazia, indossando l'immancabile maglia 34 dei Seattle, e brindando con un buon rosso, chiarisce subito la serata che ha in mente: Relase, Sirens, Black sono un attacco che pochissimi gruppi possono permettersi, da "Go" a "Who you are" si susseguono carezze e strigliate, per un attimo fa capolino direttamente dalle terre selvagge Alex Supertramp reso forse più immortale dalle note di Eddie Vedder e dalle immagini di Sean Penn. Ma è durante l' Encore che il pubblico va letteralmente in estasi: Yellow moon, Small town, Thin air, Just breathe, Doughter, Jeremy arrivano proprio quando dovrebbero arrivare, la voce e' bellissima e potente, gli assoli non annoiano, il gruppo e' perfetto ( non faccio nomi per evitare di dimenticarmene qualcuno). C'è anche il tempo di cantare "Happy birthday " a Matt Cameron (o alla fidanzata). 



Si accendono le luci, ma nessuno, né il pubblico, né tantomeno i Pearl Jam, ha alcuna voglia di andare a casa: "Alive" e "Rockin' in the free world" diventano autentici cori da stadio, e a nessuno frega se qualcuno sbaglia una parola. "It's too late" dice Eddie dopo quasi tre ore di concerto, ma non prima di un ultimo pezzo. Via alla metro che se no chiude. 

Pearl Jam: ce l'ho!
Francesco Maisto
ph_ Fabio Massa



lunedì 9 giugno 2014

Solo gli amanti sopravvivono (only lovers left alive)

Vampiri, tra Detroit e Tangeri, i protagonisti del film di Jim Jarmusch.



Adam ed Eve, sposati da un tempo incalcolabile. 
Secoli di amore e un terzo matrimonio risalente al 1868.
Lontani, dopo molti secoli, gestiscono un amore a distanza. Un i phone mette in contatto una stanza impregnata di musica, fitta di chitarre e synth, e un'alcova ricca di tessuti orientali: le due stanze, quella di Adam a Detroit, quella di Eve a Tangeri.
Non è dato sapere cosa li tenga lontani, nè cosa li tenga vicini.
Importante è solo sapere che quando la malinconia si fa troppo fitta ed Eve legge negli occhi del marito tristezza e sconforto, prende il primo volo per raggiungerlo.

Nulla è cambiato. Nel loro incontro intimità, complicità e comprensione. Nessuna distanza, nessuna mancanza. Solo la gioia di amarsi incondizionatamente, e abbandonarsi in un ballo di una dolcezza infinita.























Cultura, esperienza, e saggezza accumulata. Adam non riesce a non sentire il peso della vita eterna. Si sente solo, devastato dall'ignoranza e dalla stupidità umana. Braccato in casa sua si rifugia nella musica, e ricorda con angoscia di tutti gli scienziati, gli artisti e i geni condannati a sofferenza e morte.

Un proiettile di legno, quello che si procura per farla finita.
un vampiro che vuole suicidarsi, ammetto, non l'avevo mai visto.

Ma l'amore che parte da Tangeri è più forte della malinconia. E per le strade cupe di Detroit Adam recupera un po' di energia, con un sottofondo musicale suggestivo e vibrante.


Buio, lento, e silenzioso.
Contrasti forti tra oriente e occidente, tra nuovo e antichissimo. Atmosfere degli anni '70 con connotazioni indefinite. Non ha alcun valore il tempo, e tutto può essere mischiato.
La musica classica che diventa elettronica, la poesia che sopravvive ai secoli e i corpi che non invecchiano. Tra un ghiacciolo di sangue zero positivo e una partita a scacchi, si svolge la vita dei due amanti.


Non da guardare in un sabato pomeriggio di noia, come è capitato a me,
ma con il balcone aperto in una sera d'estate, con un po' di brezza e qualche candela.
Il contrasto degli amanti assetati di sangue tra decori orientali e strade di pietra, è un'immagine che rimane nel cuore.




mercoledì 4 giugno 2014

QUEENS OF THE STONE AGE_ 3 GIUGNO 2014_ ROMA

Tema: concerto dei Queens of the stone age


Luogo : Ippodromo delle capannelle, Roma, luogo sacro del film " Febbre da cavallo"  
Data: 3 giugno 2014
Età  pubblico 30/33/35
Numero di Persone : Abbastanza. 


Resoconto:
Partenza da Caserta sud, ore 16:00,  con in sottofondo cd di " A'380 ", famosissima band della provincia di Caserta, contenente ben  quattro tracce: il tempo di arrivare a Caianiello, ed era già finito.
Arrivo a Roma: ore 18:30. 
Parcheggio a pagamento, ovviamente,  non custodito ( aò sò cinque euro!).





Gruppo di apertura: NON PERVENUTO… o meglio, non ascoltato, causa troppo impegno profuso nel bere birra doppio malto a 7,00 euro.


Concerto intenso. Acustica non sempre impeccabile.
Alcuni pezzi non riconoscibili dalle prime note, e forse non all'altezza del loro sound. 
Ma non mi soffermerei troppo sui dettagli tecnici, che in fondo vale di più un giudizio complessivo.

Canzone meno riuscita: LIKE CLOCKWORK, troppo romantico l'inizio con pianoforte e voce.

NO ONE KNOWS: panico, e delirio. Ovviamente.

"Pezzone dei pezzoni" (acme del concerto): A SONG FOR THE DEAD, chiusura spettacolare e celebrazione in grande stile della "maestosità/maestria del nuovo batterista.


Voto: 7 e mezzo.

La trasferta, l'umidità violenta di questo giugno dal clima discutibile e il mal di testa del rientro a dirla tutta non mi hanno fatto divertire troppo.

Il concerto: SI.

Nine inch nails_ Bologna 2014

Un concerto per appassionati e intenditori.
Meno tecnologia rispetto a Milano, meno effetti speciali, meno spettacolo.
Musica verace. Noise e potenza, la
solita.
Mai deludenti, ma più crudi.


Esplodono i suoni, esplode il rumore.
Come una bambina urlo, salto e mi dimeno. Tutti indietro, stavolta vado alle transenne.
Amici, e amici, e amici di amici. Au revoir. Ci vediamo all'uscita, ingresso 6.
N. 5 per me, come CHANEL. E il quinto concerto l'ho voluto tenere per me. Nessuna condivisione. Io e Trent Reznor, che ogni volta vorrei smontare e rimontare nel salotto di casa mia.
Il prossimo show, me lo prometto, negli Stati Uniti.


 Due i picchi per le mie emozioni: una REPTILE dalle viscere, che "she has the blood of reptile just underneath her skin", e una ERASER da paura.

I classici, quelli che ti aspetti, e molto di YEAR ZERO. TERRIBLE LIE mi è mancata, ma penso di potermene fare una ragione, soprattutto ripensando alla NON ENTITY di qualche anno fa a Roma.

Lascio l'Unipol arena saltellando, come una mina vagante, come sempre.

Meno geometrie nascoste, meno segreti e formule magiche, ma onestà, grinta e forse un po'di rabbia.



HURT chiude, lo sappiamo, andiamo a casa.

Il sesto? Quando?