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venerdì 28 ottobre 2016

MARINA ABRAMOVIC_THE SPACE IN BETWEEN


La mia illusione che a 70 anni la sofferenza possa essere ormai superata, che la saggezza possa portare alla pace spirituale e che tutta la rabbia dovuta ai tradimenti possa scivolare addosso senza lasciare tracce, si è ormai dissolta.
Marina Abramovic, tonica come poche, nuda come non mai, urla in un silenzio composto la sua disperazione.
Lo fa in una maniera non inusuale, e mi colpisce il fatto che porti avanti lo stesso tentativo di Nick Cave, ossia quello di documentare i pensieri attraverso il video. In due film proiettati nelle sale solo per un paio di giorni, a distanza di una settimana, entrambi esorcizzano le paure, ognuno secondo le sue inclinazioni, attraverso la comunicazione.
Nick Cave, nel film documentario "One more time with feeling", aveva portato con sé una troupe negli studi di incisione del suo album, e anche un po' a casa sua, per raccontare e raccontarsi, in un momento di crisi profonda.

Marina Abramovic, invece,  parte per un viaggio, che la porta nel cuore dell'esoterismo del Brasile.
Tante facce, sguardi profondi ed esperienze singolari, che contengono in sé e poi sprigionano con forza il sapore della magia, che è propria della creazione. Quella stessa magia che Nick Cave utilizzava, o di cui era tramite, nel momento in cui, mettendosi al piano con aria incerta, si lasciava andare alle note, che fluivano secondo una improvvisazione precisa e scandita, dettata, forse dalle stelle.
Certo, questo a meno di considerare che le stelle siano proprio loro, gli artisti al servizio della natura, dei sentimenti nascosti ai più. Depositari di una sensibilità fuori dagli schemi e dal comune, con il compito di spiegarla agli altri, in una frustrazione più o meno costante.
Il metodo Abramovic, che consiste nel mangiare a colazione uno spicchio d'aglio e una cipolla, è quello che le consente, dice, di visitare i posti più impervi del pianeta senza ammalarsi mai.
Libera nella vita ma non nell'anima, si spinge alla scoperta di sensazioni nuove. Beve, mangia, medita, prega, cammina, parla con la gente. Non c'è nulla di artefatto in un viaggio che, come tutti i viaggi, è finalizzato alla riscoperta di sé. Una rinascita, necessaria e inevitabile, dopo una sofferenza che ha pervaso completamente il corpo e lo spirito.
Incontra, sul suo percorso, donne che, nella semplicità e nell'ignoranza, hanno vissuto una vita ricca della gioia di aver aiutato gli altri.
Lei, protagonista indiscussa della sua vita e del suo viaggio, si mette a nudo, spiritualmente e fisicamente, e mostra a tutti le sue debolezze, e contemporaneamente la sua forza, con l'esibizionismo proprio di una donna che  non si vergogna di essere umana.
Piange, si dimena, si lascia toccare, massaggiare, cospargere di terra, ma soprattutto si affida. Nella sua ricerca di un po' di pace, si abbandona a riti tribali e si fa travolgere dalle tradizioni di un paese che non è il suo.
Colori, vibrazioni, intuizioni, empatia.
Il film è un'esperienza, la sua, che sceglie di condividere con il suo pubblico. Si mette in gioco, come lei sa fare, e si concede.
Differente è la sensazione che si prova invece nel sentirle dire che intende lavorare un po' dietro le quinte, verso la fine del film, per rendere  protagonisti delle sue opere i suoi spettatori.
Marina Abramovic è artista e opera d'arte, e questo non potrà mai prescindere dalla sua opera. Sarà sempre al centro di ogni suo progetto, perché il germe di follia che è dentro di lei, può manifestarsi solo attraverso il suo viso, i suoi occhi, il suo corpo, anche se, per un attimo dovesse decidere di mettersi un po' in disparte.
Questo è quello che io, da spettatrice, vedo di lei.

giovedì 20 ottobre 2016

SKELETON TREE / ONE MORE TIME WITH FEELING

L'acqua mi ha sempre fatto un effetto particolare. E' a contatto con l'acqua che spesso mi si illumina la mente.
Due giorni fa, a casa di un amico, Marianne Faithfull. Deep water, musica di sottofondo dei titoli di coda di "One more time with feeling", film documentario sulla sofferenza di Nick Cave.



In bianco e nero, ma più nero che bianco, in inglese, con i sottotitoli, in 3d.
Un senso di nausea che non sai spiegare se sia dovuto al non poterti togliere gli occhiali o alla densità delle emozioni. 
Apnea, è lo stato in cui si trovano tutti quelli che guardano il film con me, estranei accomunati dalla passione per la depressione, forse.
Nick Cave è cambiato, non è più lo stesso, e forse non sarà mai più quello di prima. Nonostante questo, mette tutti in secondo piano con il suo carisma. E' potente la sua immagine, potente la sua energia. Non ha importanza quanto il film sia ben strutturato, ben montato o ben realizzato (3d a parte, che avrei evitato senza pensarci su due volte), perché la presenza scenica, il fascino, l'intelligenza di un uomo che è protagonista del palco come della sua vita, lasciano tutto e tutti in secondo piano.
Ci ho pensato per giorni, senza riuscire veramente ad elaborare i pensieri. Le parole impresse nel cervello, i discorsi metabolizzati in un minuto, i testi delle canzoni spiegati, recitati, indelebili.
E' la vita osservata da un uomo intelligente, che non è sempre a lieto fine, che è cambiata irreversibilmente con la morte del figlio. Una distrazione imperdonabile, un momento di buio dal quale è impossibile risvegliarsi. Un uomo nuovo, vecchio, o comunque non più giovane. Una quotidianità stravolta, che viene osservata con lo sguardo attentissimo di chi sa cosa voglia dire vivere la propria vita con consapevolezza, e che nonostante questo non trova un modo, e non conta di trovarlo.
Illuminante, magico, ipnotico. La devastazione di un uomo condita dall'inquietudine che sempre ha contraddistinto la  sua musica.
Rispettoso, composto, elegante. Lascia trasparire la sua rabbia, la sua frustrazione, ma soprattutto la sua sofferenza, senza cadere mai nel patetico, senza essere mai stucchevole, seppur malinconico.
Questi gli aspetti che riguardano strettamente la "trama" del film.
Un'altra sfera si insinua invece nelle immagini e tra gli spartiti e tra le improvvisazioni, ed è quella che riguarda la magia della composizione. L'ispirazione, quella che sembra arrivare da "altrove". L'artista che diventa un mezzo al servizio di una forza più grande, che lo pervade e che lo anima nel momento della creazione. Una forma di trance, imprescindibile ed inspiegabile, inevitabile.
Skeleton tree è una melodia in cui lasciarsi cullare come dalle onde. Un lamento nel quale galleggiare, un mare semiagitato da cui farsi trasportare, senza mai arrivare alla deriva. Un brodo primordiale di sentimenti di cui non spaventarsi, perché quando ci si accorge di essere stati travolti, ormai è già tardi, e non c'è altro da fare, se non lasciarsi andare.
Trasformare il dolore in creatività è difficile anche per chi nel sangue ha l'arte.
Mostrarsi, senza aver paura di risultare un essere umano (per quanto possibile). Esprimersi, senza essere mai banali, senza cadere nella tentazione di piangere. Resistere, e contemporaneamente abbandonarsi.
Difficile, e comprensibili, come tutte le cose, solo a chi vuol comprendere.
Il film, per chi vuole resistere.
Il disco, per chi vuole lasciarsi andare.

martedì 10 maggio 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot


"Lo chiamavamo Jeeg Robot" è la prova materiale del fatto che con un'idea si possa vincere (su) tutto.
 Un cerchio che si chiude, una storia ben strutturata, completa e coerente dal primo all'ultimo minuto.
Un supereroe a Roma, in un contesto reale, preciso e definito.
Per quelli che, come me, hanno vissuto un'infanzia spensierata, sdraiati sulla poltrona  del nonno a guardare i cartoni animati, tutto ha un senso.
La pagina in bianco e nero di un fumetto nascosto sotto pelle si colora magicamente, e riaffiora, come un tatuaggio segreto.
Il gioco è lo stesso di sempre: i cattivi che vogliono conquistare il mondo, e i buoni che cercano di salvarlo. Un demone buono e un demone cattivo, si scontrano (in me), direbbe Morgan. Prima di incontrarsi,  i due demoni, si dimenano tra furti, droga e violenza... e vanità. Perché l'affermazione di se stessi, e del proprio potere, passa anche attraverso l'immagine.
Il contesto è crudo, la colonna sonora è forte, la fotografia di grande effetto.
Gli attori sono (in)credibili, la sceneggiatura divertente, i colpi di scena non mancano.
L' eroe buono è un po' stordito ed inesperto, distratto e disilluso; subisce mutazioni genetiche come Hulk, perde la sua amata come Ken il guerriero, affronta il suo antagonista come nei migliori combattimenti tra robot.
L' Hiroshi Shiba dei quartieri popolari, Devilman contemporaneo, ama una donna fragile, che gli illumina la vita con delicatezza.
Il livello non cala mai, con Marinelli e Santamaria all'altezza di Superman e Spiderman.
L'eroe cattivo è di paiettes vestito, è vanitoso, capriccioso e inauditamente violento, con lo sguardo dolce delle menti perdute, quello che inganna.
Non ci sono artifici né prese in giro. E' una racconto di fantasia reale al 100%.
Non è magia, è  il cinema italiano con la sua intelligenza, che buca lo schermo senza bisogno di effetti speciali, senza fumo e controfigure; che si avvale di attori  bravi, di storie concluse, che comunica in maniera sottile, creando l'armonia alternando bellezza, sensibilità, violenza, forza, e semplicità.
Perché per essere supereroi non servono sovrastrutture.
Il coraggio è dentro, e si esprime nella voglia di raccontare una storia.
E se non una batmobile non te la puoi permettere, sappi che non è necessaria: è sufficiente una maschera di lana.

giovedì 26 marzo 2015

Pretty woman fa 25 anni e io...mi SQUAGLIO! [da molto meno!]

Sì, lo so, non si dice squagliare, si dice sciogliere, ma che ci posso fare se ogni volta che lo RIvedo, ascolto la sigla o semplicemente qualcosa me lo ricorda, io mi squaglio letteralmente come la più comune sottiletta Kraft su un mega McBurger? Come la panna dite?! Eh sì come la panna in un terribile afoso pomeriggio d'agosto, io, noi, generazioni di donne, siamo impazzite guardando IL cult del genere, IL film d'amore, LA favola moderna.



Chiariamoci un attimo,

martedì 2 dicembre 2014

Moebius_ shock di una notte di mezza estate

Non dirò che erano le tre di mattina, e che in tre ci trovavamo in pieno agosto in un posto che doveva avere quattro stelle ma al posto delle stelle ci avevano messo gli scarafaggi.
Non dirò che in tre ci siamo seduti sul letto, alle tre di notte, e con le braccia al sen conserte e gli occhi spalancati siamo rimasti nella stessa posizione fino alle cinque, intervallando solo qualche gesto istintivo per coprirci e scoprirci gli occhi a turno, a seconda delle nostre paure personalissime e traumi infantili ed angosce recondite.
















Moebius. Titolo che mai potremo dimenticare, intriso di notte, di agosto, e di stupore.
Pluricensurato, incestuoso e violento film di una notte di mezza estate.
Kim Ki-duk: regista, sceneggiatore, produttore, ideatore e realizzatore. Corea del Sud, 2013.






Sonoro dicono, ma mentono. Silenzioso e muto. Urla, rumori e cigolii di porte valgono? sono gli unici suoni che abbiamo ascoltato per circa due ore. Il fruscio delle porte che si aprono, in uno scenario tutto da interpretare.





Il tradimento, la gelosia, la rabbia, la frustrazione, la voglia di reagire, la dignità, la violenza, la paura, la religiosità, la tradizione, l'amore, la comprensione, l'empatia, l'egoismo, l'invidia, il piacere, il dolore, il godimento, la sofferenza, la frustrazione, la rassegnazione.





L'elenco delle emozioni che si susseguono, più o meno in ordine, rappresentate dalle espressioni di pochi attori: il padre, il figlio, la madre e l'amante (del padre e poi del figlio); la madre e l'amante interpretate dalla stessa attrice, in uno spaesamento che si risolve dopo diverse ore. Una donna, rappresentante del genere, che si moltiplica nelle sue espressioni, nelle sue caratteristiche di donna, nei capelli, nel trucco, nella lussuria applicata in sfumature differenti.







Come raccontare di amputazioni, di orgasmi "alternativi", di dolore e piacere, di vergogna e dignità?
Come descrivere la trama di un film che ferisce nel silenzio, che segna come una lama sulla pelle, lentamente?

Un uomo tradisce, e le conseguenze del suo tradimento si propagano a macchia d'olio, con reazioni imprevedibili ed incredibili. Un turbinio sempre più violento, e sempre più complesso, che spinge la mente in un vortice di ragionamenti contorti e allo stesso tempo istintivi.
Ferite che sono fisiche e morali, che si imprimono nella mente e nel cuore.








Se avete bisogno di una notte silenziosa, intensa e scioccante, saprete cosa cercare.

lunedì 9 giugno 2014

Solo gli amanti sopravvivono (only lovers left alive)

Vampiri, tra Detroit e Tangeri, i protagonisti del film di Jim Jarmusch.



Adam ed Eve, sposati da un tempo incalcolabile. 
Secoli di amore e un terzo matrimonio risalente al 1868.
Lontani, dopo molti secoli, gestiscono un amore a distanza. Un i phone mette in contatto una stanza impregnata di musica, fitta di chitarre e synth, e un'alcova ricca di tessuti orientali: le due stanze, quella di Adam a Detroit, quella di Eve a Tangeri.
Non è dato sapere cosa li tenga lontani, nè cosa li tenga vicini.
Importante è solo sapere che quando la malinconia si fa troppo fitta ed Eve legge negli occhi del marito tristezza e sconforto, prende il primo volo per raggiungerlo.

Nulla è cambiato. Nel loro incontro intimità, complicità e comprensione. Nessuna distanza, nessuna mancanza. Solo la gioia di amarsi incondizionatamente, e abbandonarsi in un ballo di una dolcezza infinita.























Cultura, esperienza, e saggezza accumulata. Adam non riesce a non sentire il peso della vita eterna. Si sente solo, devastato dall'ignoranza e dalla stupidità umana. Braccato in casa sua si rifugia nella musica, e ricorda con angoscia di tutti gli scienziati, gli artisti e i geni condannati a sofferenza e morte.

Un proiettile di legno, quello che si procura per farla finita.
un vampiro che vuole suicidarsi, ammetto, non l'avevo mai visto.

Ma l'amore che parte da Tangeri è più forte della malinconia. E per le strade cupe di Detroit Adam recupera un po' di energia, con un sottofondo musicale suggestivo e vibrante.


Buio, lento, e silenzioso.
Contrasti forti tra oriente e occidente, tra nuovo e antichissimo. Atmosfere degli anni '70 con connotazioni indefinite. Non ha alcun valore il tempo, e tutto può essere mischiato.
La musica classica che diventa elettronica, la poesia che sopravvive ai secoli e i corpi che non invecchiano. Tra un ghiacciolo di sangue zero positivo e una partita a scacchi, si svolge la vita dei due amanti.


Non da guardare in un sabato pomeriggio di noia, come è capitato a me,
ma con il balcone aperto in una sera d'estate, con un po' di brezza e qualche candela.
Il contrasto degli amanti assetati di sangue tra decori orientali e strade di pietra, è un'immagine che rimane nel cuore.




venerdì 2 maggio 2014

Nymphomaniac_ vol.2

Se ne potrebbe parlare per giorni. 



Della chiesa romana d'occidente e di quella d'oriente, dei cucchiaini, delle occhiate, degli sguardi molesti e della crudeltà di alcuni gesti, ma quasi mai delle parole.
Se ne potrebbe parlare per giorni e, a dirla tutta, noi l'abbiamo fatto; perché la quantità di immagini che ci è rimasta impressa è decisamente notevole.


Lars von Trier non ha sbagliato neanche questa volta. Diretto, estremo, incisivo e profondo. Carico più che mai, di una violenza disarmante, di una ferocia umana, ma ricercata.
Un'analisi chiara ed imparziale, dove il peccato, e il sentirsi peccatore, diventano aspetti assolutamente relativi e discutibili.
Un colpo di scena che sovverte tutti gli ordini: della decenza, della giustizia, dell'etica.
Tutto è ben regolato, in quella lentezza che contraddistingue quei film in cui il pathos regna sovrano.
Non ci si rilassa. Mai.
Non si respira, e non si sospira, se non cercando di confondersi con gli attori.
Qualche volta mi copro gli occhi, ammetto. Ma sono certa di ricordare anche le scene che volutamente non ho guardato.
La bellezza di Charlotte Gainsbourg, di certo non canonica, rende familiare la sofferenza, e le da un valore aggiunto che poche donne saprebbero esprimere.
Un Willem Dafoe che compare per pochi attimi ci riporta irrimediabilmente alle visioni di Antichrist, con il quale comunque i riferimenti non sono pochi.


Simbolismo e provocazioni, erotismo e psicologia, violenza e consapevolezza.
L'amore manca, si sa. Ma questo succede in molte vite, anche se ci piace pensare che non sia una cosa possibile.
Madri che non amano i propri figli, uomini che non amano le proprie mogli, figli di nessuno che non amano nessuno. Una morte che è intorno a noi, fitta come una coltre nera. Noi non la vediamo, semplicemente perché la nostra, quella personalissima, ci fa già troppo male, oltre che paura.
Lars von Trier scompone la sofferenza: la vede, la riconosce, la interpreta, la rende immagini, e la porta in scena.


Noi, comuni mortali, siamo solo qui a parlare.
Lui, per quanto mi riguarda, rimane un genio.
Ci emoziona, ci turba, ci fa provare sofferenza, disgusto, vergogna e piacere in un concentrato di un centinaio di minuti.
Io, forse, non saprei farlo. E voi?

martedì 28 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street_Vendimi questa penna!!?!

Ci sia appassiona ai film, agli attori, agli abiti.
Ho scelto Leonardo Di Caprio ai tempi di Titanic, poi ci siamo un pò persi di visti. Shutter Island ci ha fatto incontrare di nuovo, Il Grande Gatsby ha segnato l'amore e ieri con The Wolf of Wall Street abbiamo festeggiato i nostri primi 17 anni di fidanzamento.

 
Oltre il delirio c'è il film.
La storia della supernova di Wall Strett Jordan Belfort, della sua mirabolante ascesa, dei suoi eccessi, ricchezze, donne, droghe ed epic fail.
Iniziato alle contrattazioni da uno spudorato mentore, esordisce il giorno del lunedì nero. Fallisce il debutto ma riesce a risalire la china verso una traiettoria stellare ripartendo da un piccolo call center di Long Island e vendendo penny stocks, azioni spazzatura, con commissioni al 50%.

Da lì un turbino di eventi, incontra Donnie, fonda la Stratton Oakmont, colloca sul mercato migliaia di azioni truffaldine, tanto sesso, una nuova moglie e milioni di dollari.

 
Jordan è un grande capitano d'azienda, carismatico, motivatore, vittima del suo stesso training e di una vita di eccessi, droghe e soddisfazioni. Al momento giusto cede alla tentazione e piuttosto che uscire di scena, si impantana in trappole legali, fino a finire in galera. Collabora e se la cava, con intelligenza e poca gloria, con soli 36 mesi, dedicandosi poi ad una carriera da motivatore.
Vendimi questa penna!?!Crea il bisogno!Il suo inizio, un nuovo inizio per tutti.

La storia è surreale ed incalzante, il focus è sugli eccessi, non c'è pathos, non c'è tristezza, c'è un catalogo sfolgorante di corpi perfetti, abiti griffatissimi e yacht megagalattici e la vacuità è esattamente lì.
Nell'esser traditi dal proprio migliore amico proprio nell'intenzione di voler salvare lui, nel vivere di droghe e baldoria perdendosi in un fiume di pillole, prostitute e schiume.
La narrazione risulta ironica, bizzarra ed a tratti ridicola, ma Scorsese ed il nostro Jordan Di Caprio, riescono a motivare anche noi, pubblico tenero ed un pò stanco dopo tre ore di film.
Incantano una platea intera, facendo capitolare uomini e donne, facendo accarezzare a tutti la possibilità di diventare milionari. La possibilità, chiaramente, solamente quella.


Piccolissima parentesi italiana tra Portofino e Le Cinque Terre, Noi come sempre icone di moda, di danze e leggerezza.

martedì 1 ottobre 2013

MOOD INDIGO_ la schiuma dei giorni



Chloè ha una ninfea nel polmone destro. Mai immagine fu più dolce per descrivere una malattia mortale.
Gli occhi dell'amore che trasformano ogni cosa, ma gli occhi, in generale, che guardano le cose a proprio modo. La distanza tra la realtà e l'immaginazione è evidente e sottile, e sono certa che qualcuno deve aver rappresentato estratti del romanzo di Vian in cartoni animati, di quelli che a quintalate ho guardato nella mia infanzia. Mi sento solleticare la memoria quando vedo che il campanello prende vita, che le gambe si allungano, che i colori si modificano. 
Il film è una visione, e non c'è altro modo per descriverlo.                     
Una marea, una miriade, un vortice di significati simbolici che si accavallano, si intrecciano e si confondono. Solo Antichrist di Lars Von Trier mi era apparso così complesso. Tanto che credo che riguardarlo altre dodici volte non basterebbe a svelarne tutti i segreti. Ne varrebbe, in ogni caso, la pena.

Colin e Chloè

La magia c'è, e pervade soprattutto Colin, che ingenuo e amorevole si scontra col mondo, facendosi rubare fino all'ultimo centesimo dagli amici, dalla malattia, e dalla vita. Determinato seppur sprovveduto, si mette in gioco a tutti i costi per salvare la vita di sua moglie. Ma il grigiore lo travolge.  La sua casa, ricca e luminosa, si trasforma poco a poco, perdendo vivacità e allegria; le finestre diventano sempre più piccole, le pareti si sgretolano sempre più velocemente. Non c'è più traccia delle colazioni luculliane spazzate via da lavavetri. Tutto è buio, e triste. Il rammarico è che tutto sia durato così poco.
Strette di mano "rotanti", feste da ballo come allucinazioni e oggetti animati controbilanciamo la devastazione per la perdita imminente.
Le automobili trasparenti, gli amici che rappresentano le emozioni, i comportamenti dell'essere umano in difficoltà, i mezzi pubblici come elefanti, i cocktails per ogni stato d'animo, le droghe più o meno legalizzate e la società intorno, che fa da sfondo e che osserva, sono soltanto alcuni degli aspetti di un film ricchissimo.

Io, per quanto mi riguarda, penso di aver dato appena una "sbirciata".







venerdì 7 giugno 2013

LA GRANDE BELLEZZA_ ROMA RULEZ



La bellezza di Roma è sfacciata. È spudorata, è ovunque. È così violenta da provocare un senso di nausea. Nello sforzo di assorbirla, alla fine, ti gira la testa. Una grandezza che supera i limiti del tempo, sciorinata con baldanza nei pavimenti a scacchi delle ville più belle, nei tramonti e nelle albe che sfiorano le statue, nelle fontane, e nei giardini.

Roma è protagonista indiscussa. Regna sovrana come sfondo imponente e inevitabile. È il fulcro, e vince sugli scorci di vita dei protagonisti, tutti accomunati dalla ricerca di una gloria che non potrà mai essere al pari di quella di Roma.

Ricchi, borghesi, forniti di ogni droga, colti, letterati e soli personaggi, si fanno compagnia in un momento in cui il confine tra la bellezza e la volgarità è così sottile da confondere anche gli osservatori più esperti.
Nobili a noleggio, e castelli in disuso.

Un eroe decadente, uno Sperelli dei giorni nostri, il protagonista è un uomo che osserva. Nel suo cinismo lucido la ricerca dell’essenza. Spolvera da tutte le ragnatele i discorsi artefatti dei salotti borghesi. Sorride degli altri ma soprattutto di sé, e vive la sua vita senza fermarsi. I funerali come spettacoli teatrali sono il suo modo per esorcizzare la morte, nella consapevolezza profonda che, a prescindere dal fascino degli abiti neri, alla morte non ci sia rimedio. Accoglie nella sua vita il bello, ma anche il brutto, il ridicolo e l’effimero. A cena alla sua tavola, indistintamente, santi, cardinali e puttane.

Riconosce la bellezza nello sguardo di una spogliarellista, nel fascino compito e segreto degli abiti monacali; sa distinguere l’arte dal puro esibizionismo; sa rimanere affascinato dall’eleganza di una donna che incontra per strada, pur essendo circondato da donne bellissime e nude quasi ogni notte.

E il suo sguardo, quando viene colpito e toccato, si illumina.

Si nutre di notti inutili e assapora albe evanescenti e bellissime. La città è sua, insieme a quel senso di angoscia che contraddistingue tutte le albe; insieme al senso di vuoto che ti assale un attimo dopo i momenti più belli; quando un raggio di luce colpisce gli oggetti nel modo giusto; quando sai che la gioia finirà.

Tante immagini, tante scene caravaggesche.
Saloni, giardini, candelabri e cortili ma, primo su tutti, il suo terrazzo con amaca, vista Colosseo.



Colonna sonora spettacolare.

C’è chi nella ricerca costante delle bellezza si perde (è un rischio) e chi la bellezza, invece, non riesce nemmeno a sfiorarla, pur avendola di fronte costantemente e in maniera prepotente.

Cartoline, informazioni, corpi, ed emozioni. Vecchi, giovani e bambini, tutti infelici.

Del protagonista si racconta solo un pezzo di vita. Solo il presente, perché è nel presente che vive. Non c’è inizio, e non c’è fine. Quello che emerge è solo il suo modo di vedere le cose, è il suo sguardo che si illumina d’improvviso quando, inaspettatamente, scorge la bellezza.

Quando fissa il soffitto chiaro della sua stanza, lui, ci vede il mare. La bellezza, infine, è negli occhi di guarda.



mercoledì 6 febbraio 2013

DJANGO UNCHAINED


"La nascita di una nazione", "Il grande silenzio", "Mandingo", "Addio zio Tom", e poi naturalmente tutta la serie di Django, l'immancabile "Il buono il brutto e il cattivo", "Trinità" e ancora "il passo" di Lucky Luke a cavallo, il nome di Edvin S. Porter sul manifesto dei ricercati, il foro di proiettile sulle carte da gioco come ne "Il mercenario" e via così fino all'infinito. L’uscita nelle sale di Django Unchained di Tarantino ha scatenato  la caccia alle citazioni presenti nell'ultima fatica del regista di Pulp Fiction e Kill Bill.

Quentin lo sa,  e per non deludere i fan, cita, ruba, piazza la musica adatta al punto giusto, strizza un occhio a Corbucci e l'altro a Kurosawa, resuscita generi ormai defunti, riabilita personaggi ormai in declino, fa incontrare il nuovo e il vecchio Django in una scena tanto inutile alla trama del film quanto chiacchierata in internet, e soprattutto rende onore ai suoi adolescenziali pomeriggi passati in una videoteca a guardare VHS che nessuno noleggiava, con un doppio cheeseburger in una mano e una bibita gigante nell'altra.

Django Unchained, storia di uno schiavo liberato che, con gli insegnamenti e la complicità  di un cacciatore di taglie, si riscatterà dalle angherie subite dall'uomo bianco fino a liberare l'amata tenuta in catene dai cattivi di turno, continua il filone iniziato con “Kill Bill”, proseguito con il troppo sottovalutato "Grindhouse", e con il forse troppo sopravvalutato "Bastardi senza gloria",  incentrato  sul tema della vendetta che implica sempre copiosi spargimenti di sangue, mutilazioni multiple, e continuo susseguirsi di scene "cult" (la parola più usata per commentare i film di Tarantino, non senza ragione).

La trama regge, il ritmo è  quello tipico del regista americano, i 165 minuti del film sono quasi tutti godibili, il cast è perfettamente in parte, con Christoph Waltz/cacciatore di taglie che si ritaglia di diritto un posto d'onore tra i più riusciti personaggi tarantiniani, le scene e le frasi  che imperverseranno sui siti e social network nei prossimi anni non mancano, regia, fotografia, scenografie, montaggio e scelte musicali sono tutte degne della fama che Tarantino si è guadagnato in questi anni e difficilmente chi andrà a vedere il film ne rimarrà deluso.
Allora forse quello che manca è la freschezza che contraddistingueva le prime due opere del regista (Le iene e Pulp Fiction), che restano gli apici della sua produzione, quella capacità di inventare un mondo del tutto nuovo (pieno di citazioni, ma nuovo).

La metafora più calzante può essere quella di un ristorante che ti strabilia la prima volta che ci vai per il suo modo di servirti piatti che già conoscevi in una maniera del tutto nuova, ma dove poi quando ci ritorni, pur non rimanendo deluso, ti accorgi che ormai il cuoco per paura di perdere clienti replica solo i suoi piatti migliori o nella migliore delle ipotesi ci aggiunge solo piccole variazioni che non ne cambiano di troppo il gusto.

Naturalmente poi se alla fine tutto si conclude con la colonna sonora di "Trinità", l'adolescente che abita in te, non può non alzarsi soddisfatto dalla sedia e pagare il conto applaudendo il mago che non poteva che concludere lo spettacolo  con il numero del coniglio e sebbene sapevi fin dall'inizio che il cilindro stava lì apposta per quello te ne stupisci sempre e ti domandi come fa.


giovedì 20 settembre 2012

MATADOR_ VITA O MORTE?


Pedro Almodòvar, 1986. Erano le undici di ieri sera, quando mi sono imbattuta in una miriade di film senza senso. Ieri, che non passavo la notte fissando la pagina statica di facebook, mi è sembrato che improvvisamente la televisione trasmettesse una miriade di cose. Una scelta tra generi vari che mi ha quasi turbato. Mi sono appassionata, ovviamente, a quello che sospettavo essere il film più drammatico. Certo, per poterlo dire con precisione dovrei guardare tutti gli altri, e questo non succederà. Il suicidio nel pulmino di “Non aprite quella porta” mi era già bastato quando ho cominciato a fissare le espressioni stordite e sconvolte di un Banderas ventenne. 

Scelgo “Matador”, e decido di fidarmi di un regista che mi ha deluso in poche occasioni. Un’ambientazione anni ‘80 di quelle violente, con vestiti e trucchi e capelli che non lasciano alcun dubbio. Del resto, è risaputo, che dagli anni ’80… non si esce vivi! Una miriade di colori, che fa da sfondo a poche scene toccanti. Personaggi severi e decisi, che gestiscono con una tranquillità disarmante la loro follia. Ossessionati dalla morte, come componente indispensabile della loro vita, fanno della tauromachia la propria arte, la propria guida, la propria linfa. Segnati dalle storie individuali e dagli istinti più macabri e passionali, si incontrano, si riconoscono, e non possono fare altro che amarsi. 


"Tú y yo nos parecemos, a los dos nos obsesiona la muerte". 

Sguardi profondi negli occhi scuri degli uomini e in quelli delle donne, incorniciati da quel nero sottile che rendeva enormi e bellissimi gli occhi di Mina, di Monica Vitti o della Callas, e che mi incanto a guardare ogni volta come se volessi assorbire dallo schermo quella precisione maniacale e indispensabile che si usa per dipingere a mano i visi delle bambole. Parole fredde e violente vengono pronunciate con dolcezza e sensualità.  Cappe, da toreri, e spade,  e rose rosse. Il contesto è straniante, e l’eclissi di sole aggiunge ombra alle ombre. Buio, luce, verità, menzogne, passione, dolore, amore, morte, e vita. Cosa ne pensi? “ Ti piacerebbe vedermi morire?”



giovedì 13 settembre 2012

Catapultato in un sogno

ATTENZIONE: quella che segue è la semplice e personale recensione di un film, “Midnight in Paris”. Quindi se non avete ancora visto il suddetto film e intendete vederlo, non continuate a leggere questo articolo, altrimenti ve lo bruciate! 

 “Flavio..ma tu l'hai visto midnight in paris??? Se non l'hai fatto rimedia quanto prima..t'innamorerai!” “No, non l'ho ancora visto. Me lo consigli?” “ABSOLUTELY. Il prima possibile!” 

Se una carissima amica ti scrive una cosa del genere, c’è da seguire il consiglio senza starci troppo a pensare su. Durante le vacanze estive, finalmente, mi è capitata l’occasione giusta per colmare questa lacuna. Certi amici riescono sempre a sorprenderti, a prenderti per mano e a portarti proprio dove volevi, a farti pensare con un pizzico di commozione “mi conosce alla perfezione!”. E’ una sensazione che tutti dovrebbero provare nella vita. E questa è stata una di quelle volte.  



Scorrevano le immagini del film, i dialoghi, e io ero come in estasi. Che dire, Gil ha vissuto il sogno di una vita. Chi è Gil? Giusto, un minimo di trama ci vuole...