ATTENZIONE: quella che segue è la semplice e personale recensione di un film, “Midnight in Paris”. Quindi se non avete ancora visto il suddetto film e intendete vederlo, non continuate a leggere questo articolo, altrimenti ve lo bruciate!
“Flavio..ma tu l'hai visto midnight in paris??? Se non l'hai fatto rimedia quanto prima..t'innamorerai!” “No, non l'ho ancora visto. Me lo consigli?” “ABSOLUTELY. Il prima possibile!”
Se una carissima amica ti scrive una cosa del genere, c’è da seguire il consiglio senza starci troppo a pensare su. Durante le vacanze estive, finalmente, mi è capitata l’occasione giusta per colmare questa lacuna. Certi amici riescono sempre a sorprenderti, a prenderti per mano e a portarti proprio dove volevi, a farti pensare con un pizzico di commozione “mi conosce alla perfezione!”. E’ una sensazione che tutti dovrebbero provare nella vita. E questa è stata una di quelle volte.
Scorrevano le immagini del film, i dialoghi, e io ero come in estasi.
Che dire, Gil ha vissuto il sogno di una vita. Chi è Gil? Giusto, un
minimo di trama ci vuole...
Dunque, Gil Pender vive con la sua fidanzata Inez (sono in odore di
nozze) ad Hollywood, dove è uno sceneggiatore di successo. Per staccare
dalla monotona e soffocante vita lavorativa, i due decidono di andare a
Parigi, manifestando subito una totale diversità di vedute: lui adora
passeggiare sotto la pioggia senza ombrello, si innamora subito della
splendida “Ville Lumiére” e reputa che sarebbe il posto giusto dove
intraprendere il suo vero sogno, ovvero abbandonare le sceneggiature per
scrivere romanzi. Lei invece trova sia da pazzi lasciarsi bagnare dalla
pioggia, abbandonare il lavoro e la mega villa con piscina in
California e trasferirsi a Parigi solo per inseguire un sogno infantile e
dalla scarsa sicurezza di successo. Nella capitale francese i due
incontrano una coppia di amici, Paul e la sua ragazza. Paul, per dirla
alla Wilde, “è una persona che sa tutto, e purtroppo è tutto quello che
sa”. E’ un perfettino, un saccente borioso, un so-tutto-io che spara
lezioni storico-critiche pallosissime su ogni cosa artistica incroci lo
sguardo suo e dei tre amici al seguito. Gil non apprezza la sua
compagnia, mentre Inez pende dalle sue labbra.
Una sera, dopo una lunga degustazione di vini, Inez, Paul e la sua
compagna decidono di andare in discoteca. Gil non si unisce a loro,
preferendo invece andare a zonzo, ammaliato dell’affascinante atmosfera
notturna che la splendida città offre. Mentre è seduto sotto un
orologio, decisamente provato dal vino bevuto, allo scoccare della
mezzanotte un taxi “d’antan” si ferma proprio davanti a lui. Gil sale
e, invitato da Scott Fitzgerald e da sua moglie Zelda, si unisce ad una
festa dove ascolterà Cole Porter suonare dal vivo la sua “Let’s do it” e
parlerà ad Hemingway del suo romanzo. Da quella notte in poi, Gil
abbandonerà quasi totalmente la monotona e noiosa vita diurna con Inez e
Paul, dove si sente sempre più un pesce fuor d’acqua, per immergersi in
quella notturna, decisamente più eccitante.
Gli basta andare al solito
posto, a mezzanotte, ed ecco passare il taxi che lo porta in quel magico
mondo dove il burbero Hemingway gli dà consigli di vita, la sapiente
Gertrude Stein lo aiuta a migliorare il suo romanzo, l’eccentrico trio
Dalì-Ray-Bunuel lo rassicura (da buoni surrealisti) su quanto sia
normale scivolare da un’epoca all’altra, e Adriana, fascinosa ex amante
di Modigliani e Braque, ora contesa da Picasso ed Hemingway, fa
sbocciare in lui un sentimento ricambiato. Una notte, mentre sono a
passeggio, i due si trovano catapultati da quella che è l’epoca d’oro
per Gil, la Parigi anni ’20, all’epoca d’oro per lei, la Parigi della
Belle Epoque. Seduti ad un tavolino di Maxim’s, Gil le chiede di tornare
negli anni ’20 e di restare lì per sempre, Adriana gli chiede invece di
rimanere in quella che per lei è il periodo di massimo splendore di
Parigi, tra Toulouse-Lautrec, Gauguin e Degas. Gil capisce allora che
non esiste un’epoca oggettivamente bella, ma che ognuno ha un periodo
nel quale sogna di perdersi, più bello e stimolante ai propri occhi: per
lui il paradiso è negli anni venti, per quelli degli anni venti il
paradiso è agli inizi del secolo, per quelli di inizio secolo il
paradiso è ancora più indietro e così via.
Dinanzi ai due si apre un bivio: vivere il proprio sogno, o migliorare
la propria vita? Adriana non ha esitazioni: lei decide di non tornare
nella sua epoca, e di restare nella Belle Epoque.
Gil invece comprende
che la cosa giusta da fare non è rifugiarsi in un sogno, bensì sistemare
le cose che non vanno nella sua vita. In fondo solo così si può vivere
liberi e con piena consapevolezza di sé. Gil torna così ai suoi giorni
dove, lasciata la fidanzata Inez, si ritrova in solitudine, di notte, su
un ponte sulla Senna; il reincontro con una ragazza parigina conosciuta
acquistando un vecchio vinile di Cole Porter e la scoperta del comune
amore per le notti parigine a piedi sotto la pioggia, farà svanire il
suo vagheggiamento per il passato e lo porterà ad una serena
accettazione del suo presente.
Che dire... ho veramente adorato questo film. Non parlo dal punto di vista tecnico-critico, quello non è il mio campo, e di quello mi importa pochissimo. Parlo delle emozioni e delle riflessioni che mi ha suscitato. In particolare, due di queste mi hanno stimolato particolarmente:
1) Tra un lavoro ben pagato ma che mi rende infelice a Hollywood, e una nuova avventura facendo quello che amo in un posto che mi fa stare bene, quale strada è meglio prendere? Scelta totalmente soggettiva, da prendere seguendo i propri valori, i propri istinti, le proprie priorità, l’ideale di vita che si sogna. Non importa quali siano, l’importante è fare il possibile per seguirli. Personalmente sceglierei la seconda opzione tutta la vita. Credo che quando si ha la possibilità di scegliere (e sono ben pochi i fortunati ai quali la vita riserva tale preziosissima opportunità!), si dovrebbe sempre mettere al primo posto il benessere interiore. E’ da lì che nasce la felicità, no?
2) E’ meglio restare nell’epoca che si è sempre sognata, come ha fatto Adriana, o è meglio tornare a vivere la propria vita, affrontarla e migliorarla? Dico “è meglio” e non “è giusto” perché, secondo me, quasi mai la felicità si raggiunge facendo ciò che è giusto, ma facendo ciò che è meglio. Io condivido la scelta della ragazza: se avessi la possibilità unica di mollare tutto e andare a vivere nel periodo che ho sempre amato, tra gli idoli della mia vita, passando le serate bevendo e parlando con loro, non ci penserei su due volte ad accettare. Il fulcro della vita è essere felici e in pace con sé stessi.
E se per agguantare questo stato d’animo bisognasse scivolare attraverso i decenni o i secoli, sarebbe un prezzo dolcissimo da pagare.
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