venerdì 3 maggio 2013

VINICIO CAPOSSELA @ CAMDEN PALACE THEATRE, LONDON

Il vecchio Camden Palace Theatre trasuda storia della musica. 

Malgrado dal 2004 si faccia chiamare KOKO e sia conosciuto come uno dei posti migliori in cui andare a ballare a Londra di sabato sera (cosi pare la pensasse Madonna nel suo periodo British), sul suo palco ci sono saliti i Clash, i Dickies, i Sex Pistols, e tutti i gruppi che hanno creato la scena punk londinese. 

Più di recente ci hanno suonato gli Iron Maiden, gli Eurythmics, i Cure, i Red Hot Chili Peppers e altri. 

Le guide per feticisti musicali informano che sia  il posto in cui Bon Scott degli AC/DC si sia preso la sua ultima sbronza e dove Madonna si sia esibita per la prima volta in Inghilterra. 

Se neanche questo bastasse, Wikipedia racconta che sia stato studio di registrazione per i programmi dei Monty Python's alla BBC e, ancor prima, il teatro più importante della zona ovest di Londra, dove spesso si poteva trovare in scena Charlie Chaplin. 


punk style_ Adrien Brody in S.O.S. Summer of Sam



Insomma... il posto sembra il luogo ideale per controbilanciare  una giornata passata tra gli edifici della City, eleganti, sofisticati e algidi come gli abiti scuri indossati dagli uomini d'affari che ci lavorano, e gli scenari post-apocalittici alla Blade Runner di Canary Wharf, dove la gente preferisce il caos dei centri commerciali sotterranei agli ordinati viali, quasi sempre battuti dalla pioggia, sui quali affacciano le hall di grandi banche e multinazionali. 

La strana coincidenza che quella sera ci suoni il tutt'altro che algido Vinicio Capossela rende sopportabile l'esborso di 27 sterline per il biglietto d’ingresso.


inside KOKO


Il locale si trova vicino Camden Town,  zona definita come la più alternativa di Londra dalle guide turistiche, ma che ormai  è in realtà un simpatico quartiere pieno di mercati, negozi e turisti, dove i punk  ricordano più i centurioni che si fanno fotografare davanti al Colosseo, che i ragazzi inglesi che volevano portare l’anarchia in Inghilterra alla fine degli anni ‘70.

Quando arrivo, una lunga fila aspetta l’apertura dei cancelli sotto una tipica pioggerella londinese: si tratta in gran parte di ragazzi italiani che vivono a Londra, per scelta o per necessità, o perché stanchi della madre patria, ma ci sono anche un po’ di inglesi incuriositi da quello che i manifesti annunciano come il “Tom Waits italiano”; fatto sta che già mezz’ora prima del concerto il KOKO è pieno.

La scelta della location da parte di Capossela appare particolarmente azzeccata: se infatti all’esterno l’edificio è abbastanza anonimo (almeno fino al calar del sole), all’interno il teatro conserva la sua conformazione originale di inizio Novecento e il rosso acceso  della moquette, delle pareti e dei soffitti  e i tipici  decori dorati,  conferiscono al posto un fascino decadente innegabile, rendendolo la scenografia più adatta per ascoltare la musica del cantautore nato ad Hannover, ma di origine irpina.


Mr. Capossela


«Good evening, buonasera a tutti, Kalispéra e kalisto poly, welcome to the teatro bar», così Capossela  si presenta al suo pubblico e, stretto in una giacca nera con la sagoma di una mano rossa che scende dalla spalla, non perde tempo,  e contando «uno, due, tre» in lingua greca e accennando semplici passi da ginnasta con le braccia e con le gambe, inizia il concerto  con i pezzi del suo ultimo album Rebetiko Gymnastas, omaggio alla musica rebetika ed in generale alla Grecia... e infatti greci sono buona parte dei musicisti che lo accompagnano.

Il concerto inizia, e i miei timori di ritrovarmi a Londra tra esaltati seguaci del "Vinicio" si rivelano subito infondati.

Il pubblico accoglie in maniera abbastanza fredda i primi pezzi inediti, complice anche una resa acustica del KOKO, non all’altezza del suo fascino; si scalda sulle note di Marajà, ascolta con curiosità alcuni pezzi classici riarrangiati in chiave rebetika, applaude agli omaggi a De Andrè, si diverte su un classico dei Pogues che diventa Ti lascio a Camden Town, si distrae quando Vinicio gigioneggia troppo con le note, si fa trascinare dal ritmo di Che cossé l'amor, Resto qua e di Con una rosa, va letteralmente in estasi con il catartico Ballo di San Vito, ed alla fine gli regala quello che di più possa desiderare un artista: un’ ovazione autentica, non frutto di un amore incondizionato, ma della gratitudine sincera per una bella serata. 


1 commento:

  1. Standing ovation anche ad un concerto di qualche anno fa. Qualcuno di certo si ricorderà l'esibizione del Capossela all'Anfiteatro Flavio di Pozzuoli (Na). Una cornice fantastica, anche se un pò troppo "delicata". "Non bere, non fumare, non toccare, non ti alzare, non ti muovere troppo", o l'anfiteatro potrebbe risentire della tua presenza. E sul finale, un'orda di ragazzi ormai impazienti e stufi di non poter ballare, si schiera sull'ultimo anello, e festeggia fragorosamente con un liberatorio ed entusiasta ballo di san vito! certe volte, rimanere seduti è praticamente impossibile!!

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