sabato 31 dicembre 2016

Buon 2017, tra misfatti, asintoti e amatissimi almanacchi!

Apro l'Internet e cerco il post dei propositi e dei saluti dell'ultimo dicembre, quello con cui ho salutato il 2015 ed accolto con grandi auspici il 2016, non c'è.

Ecco svelato il misfatto!

La congiuntura cataclismatica che tanto ha reso insopportabile questo 2016 è una mia responsabilità.



Mi sento quindi in dovere di mettere nero su bianco le mie riflessioni ed i miei migliori auguri, a vantaggio di tutti.

L'anno è scivolato via veloce, velocissimo, tanto che i propositi ( elaborati nella mente ed annotati qui e lì, in agende smarrite chissà dove), sono rimasti, in gran parte tali.
In compenso abbiamo fatto cose, visto gente, imparato moltissimo, soprattutto su noi stessi e sul valore delle vere amicizie, sull'intuito, sul talento, sull'amore e sulla vita.



Lontani dall'essere divenuti saggi, ricchi e divini, abbiamo capito cosa vorremo essere in quest'anno che sta per arrivare, dove vorremo andare e cosa ci servirà.
Il come non è incerto, è in costruzione.
Il tempo non è noto, ma la dead-line cristallina.
L'impegno è chiarissimo, tende asintoticamente a + infinito, direttamente proporzionale alla gloria ed inversamente al tempo ( necessario ai goals).

Come sempre, tanto fumo, fucsia si sa, come piace a noi, inebriante, aromatizzato e multilingua.

Il mio augurio è la mia personalissima tradizione, tratto da:



Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?

Si che è vero, ne sono certa, come ogni anno e quindi,
tanti auguri a tutti noi*







Il ciclo di vita del proposito medio, altro che "effimera"!

Ogni anno puntualmente qualunque essere vivente (anche i sassi e le foglie suppongo) reputa sia il caso di cimentarsi nell'arte dei propositi!
Tecnicamente la cosa si verifica almeno 2 volte all'anno, nei casi più gravi ogni santo lunedì mattina ma limitandoci alla norma, si attesta a settembre e a fine dicembre!
L'anno finisce?
Si fanno i bilanci e a braccetto con loro si palesano i famosi propositi, quei pensieri quasi sempre super buonisti, in cui il nostro cervello si imbatte impantanandosi alla grande!


Ebbene, quest'anno sarò più buona,

venerdì 28 ottobre 2016

MARINA ABRAMOVIC_THE SPACE IN BETWEEN


La mia illusione che a 70 anni la sofferenza possa essere ormai superata, che la saggezza possa portare alla pace spirituale e che tutta la rabbia dovuta ai tradimenti possa scivolare addosso senza lasciare tracce, si è ormai dissolta.
Marina Abramovic, tonica come poche, nuda come non mai, urla in un silenzio composto la sua disperazione.
Lo fa in una maniera non inusuale, e mi colpisce il fatto che porti avanti lo stesso tentativo di Nick Cave, ossia quello di documentare i pensieri attraverso il video. In due film proiettati nelle sale solo per un paio di giorni, a distanza di una settimana, entrambi esorcizzano le paure, ognuno secondo le sue inclinazioni, attraverso la comunicazione.
Nick Cave, nel film documentario "One more time with feeling", aveva portato con sé una troupe negli studi di incisione del suo album, e anche un po' a casa sua, per raccontare e raccontarsi, in un momento di crisi profonda.

Marina Abramovic, invece,  parte per un viaggio, che la porta nel cuore dell'esoterismo del Brasile.
Tante facce, sguardi profondi ed esperienze singolari, che contengono in sé e poi sprigionano con forza il sapore della magia, che è propria della creazione. Quella stessa magia che Nick Cave utilizzava, o di cui era tramite, nel momento in cui, mettendosi al piano con aria incerta, si lasciava andare alle note, che fluivano secondo una improvvisazione precisa e scandita, dettata, forse dalle stelle.
Certo, questo a meno di considerare che le stelle siano proprio loro, gli artisti al servizio della natura, dei sentimenti nascosti ai più. Depositari di una sensibilità fuori dagli schemi e dal comune, con il compito di spiegarla agli altri, in una frustrazione più o meno costante.
Il metodo Abramovic, che consiste nel mangiare a colazione uno spicchio d'aglio e una cipolla, è quello che le consente, dice, di visitare i posti più impervi del pianeta senza ammalarsi mai.
Libera nella vita ma non nell'anima, si spinge alla scoperta di sensazioni nuove. Beve, mangia, medita, prega, cammina, parla con la gente. Non c'è nulla di artefatto in un viaggio che, come tutti i viaggi, è finalizzato alla riscoperta di sé. Una rinascita, necessaria e inevitabile, dopo una sofferenza che ha pervaso completamente il corpo e lo spirito.
Incontra, sul suo percorso, donne che, nella semplicità e nell'ignoranza, hanno vissuto una vita ricca della gioia di aver aiutato gli altri.
Lei, protagonista indiscussa della sua vita e del suo viaggio, si mette a nudo, spiritualmente e fisicamente, e mostra a tutti le sue debolezze, e contemporaneamente la sua forza, con l'esibizionismo proprio di una donna che  non si vergogna di essere umana.
Piange, si dimena, si lascia toccare, massaggiare, cospargere di terra, ma soprattutto si affida. Nella sua ricerca di un po' di pace, si abbandona a riti tribali e si fa travolgere dalle tradizioni di un paese che non è il suo.
Colori, vibrazioni, intuizioni, empatia.
Il film è un'esperienza, la sua, che sceglie di condividere con il suo pubblico. Si mette in gioco, come lei sa fare, e si concede.
Differente è la sensazione che si prova invece nel sentirle dire che intende lavorare un po' dietro le quinte, verso la fine del film, per rendere  protagonisti delle sue opere i suoi spettatori.
Marina Abramovic è artista e opera d'arte, e questo non potrà mai prescindere dalla sua opera. Sarà sempre al centro di ogni suo progetto, perché il germe di follia che è dentro di lei, può manifestarsi solo attraverso il suo viso, i suoi occhi, il suo corpo, anche se, per un attimo dovesse decidere di mettersi un po' in disparte.
Questo è quello che io, da spettatrice, vedo di lei.

giovedì 20 ottobre 2016

SKELETON TREE / ONE MORE TIME WITH FEELING

L'acqua mi ha sempre fatto un effetto particolare. E' a contatto con l'acqua che spesso mi si illumina la mente.
Due giorni fa, a casa di un amico, Marianne Faithfull. Deep water, musica di sottofondo dei titoli di coda di "One more time with feeling", film documentario sulla sofferenza di Nick Cave.



In bianco e nero, ma più nero che bianco, in inglese, con i sottotitoli, in 3d.
Un senso di nausea che non sai spiegare se sia dovuto al non poterti togliere gli occhiali o alla densità delle emozioni. 
Apnea, è lo stato in cui si trovano tutti quelli che guardano il film con me, estranei accomunati dalla passione per la depressione, forse.
Nick Cave è cambiato, non è più lo stesso, e forse non sarà mai più quello di prima. Nonostante questo, mette tutti in secondo piano con il suo carisma. E' potente la sua immagine, potente la sua energia. Non ha importanza quanto il film sia ben strutturato, ben montato o ben realizzato (3d a parte, che avrei evitato senza pensarci su due volte), perché la presenza scenica, il fascino, l'intelligenza di un uomo che è protagonista del palco come della sua vita, lasciano tutto e tutti in secondo piano.
Ci ho pensato per giorni, senza riuscire veramente ad elaborare i pensieri. Le parole impresse nel cervello, i discorsi metabolizzati in un minuto, i testi delle canzoni spiegati, recitati, indelebili.
E' la vita osservata da un uomo intelligente, che non è sempre a lieto fine, che è cambiata irreversibilmente con la morte del figlio. Una distrazione imperdonabile, un momento di buio dal quale è impossibile risvegliarsi. Un uomo nuovo, vecchio, o comunque non più giovane. Una quotidianità stravolta, che viene osservata con lo sguardo attentissimo di chi sa cosa voglia dire vivere la propria vita con consapevolezza, e che nonostante questo non trova un modo, e non conta di trovarlo.
Illuminante, magico, ipnotico. La devastazione di un uomo condita dall'inquietudine che sempre ha contraddistinto la  sua musica.
Rispettoso, composto, elegante. Lascia trasparire la sua rabbia, la sua frustrazione, ma soprattutto la sua sofferenza, senza cadere mai nel patetico, senza essere mai stucchevole, seppur malinconico.
Questi gli aspetti che riguardano strettamente la "trama" del film.
Un'altra sfera si insinua invece nelle immagini e tra gli spartiti e tra le improvvisazioni, ed è quella che riguarda la magia della composizione. L'ispirazione, quella che sembra arrivare da "altrove". L'artista che diventa un mezzo al servizio di una forza più grande, che lo pervade e che lo anima nel momento della creazione. Una forma di trance, imprescindibile ed inspiegabile, inevitabile.
Skeleton tree è una melodia in cui lasciarsi cullare come dalle onde. Un lamento nel quale galleggiare, un mare semiagitato da cui farsi trasportare, senza mai arrivare alla deriva. Un brodo primordiale di sentimenti di cui non spaventarsi, perché quando ci si accorge di essere stati travolti, ormai è già tardi, e non c'è altro da fare, se non lasciarsi andare.
Trasformare il dolore in creatività è difficile anche per chi nel sangue ha l'arte.
Mostrarsi, senza aver paura di risultare un essere umano (per quanto possibile). Esprimersi, senza essere mai banali, senza cadere nella tentazione di piangere. Resistere, e contemporaneamente abbandonarsi.
Difficile, e comprensibili, come tutte le cose, solo a chi vuol comprendere.
Il film, per chi vuole resistere.
Il disco, per chi vuole lasciarsi andare.

domenica 2 ottobre 2016

Arance, banane e molte verità.

Oggi mi sento simpatica e sebbene, il titolo faccia presagire un intento polemico, voglio dichiarare che no, ho proprio voglia di farmi una risata e così farò alcune riflessioni in relazione ad alcune simpatiche situazioni.

Tutte hanno un tema dominante: la simpaticissima relatività delle opinioni o presunzione.

Presunzione ad esempio di ritenere che tutto sia relativo ed oggetto di opinione personalissima.
L'antidemocraticismo che in me è latente mi fa già rabbrividire quando ascolto opinioni fantasiose su questioni sociali o estetiche (ma quello è un mio problema), quando tuttavia si affrontano questioni tecniche, scientifiche, accademiche, il circo del "la mia opinione è..." è davvero esilarante.
Soprattutto in quei casi in cui un'opinione non è contemplata, poichè esiste una realtà oggettiva autoevidente. es. 1 banana + 1 banana = 2 banane. 

(Storia n1)

A tal proposito un'amica ha pubblicato su facebook questo simpatico sistema di equazioni da fruttivendolo che ha eccitato le menti matematiche dei suoi amici. 



venerdì 23 settembre 2016

FertilityDay: “Andiamo a procreare”? Macché, “Corriamo a cancellare”!

Parlare di FertilityDay in questi giorni non è decisamente semplice.
Per la complessità del tema, penserete, ed invece no, non solo.
Per l’enorme e stratosferico putiferio che ha scatenato il Ministero della Salute con le sue ben 2 campagne di sensibilizzazione al riguardo.






Da dove partiamo?
No perché in questi giorni è successo davvero di tutto, ne sta parlando veramente chiunque e come al solito qui da noi il tema non si centra mai, è solo un continuo vociferare, polemizzare e cancellare di volta in volta le tracce degli “orrori” commessi. 
Procediamo per gradi, magari dalla prima campagna, quella degli inizi di settembre, anche se prima necessito di una piccola premessa etimologica.
Ha una vaga idea il Ministero suddetto del significato del termine “sensibilizzazione”, no perché a noi, donne, uomini e bambini, forse sfugge.
Sensibilizzare dovrebbe significare creare affezione verso una materia previa informazione e divulgazione, non sparare dati più o meno precisi, infarciti da frasi oscene ed offensive.
Perché pur volendo lasciare per un attimo da parte la gigantesca inadeguatezza e l'assoluta incompetenza dell’Agenzia responsabile (su cui ragioneremo tra poco), questa campagna ha solo un colossale comune denominatore che è l’OFFESA, gratuita e virale aggiungerei!


Quella carrellata di immagini malfatte riesce infatti a risultare offensiva praticamente per tutti, cioè per il 100% del target di riferimento (ed in questo bisogna certamente riconoscere della bravura). Chapeau!
La campagna delle clessidre e del tic tac “datti una mossa”, attacca infatti in un colpo solo contemporaneamente:
  1.  Le donne che si sentono tali a prescindere dall'essere madri per qualsiasi motivo (carriera, scelte personali, esperienze negative etc).
  2.  Le donne che vorrebbero tanto trasformarsi in una macchina sforna bebè, ma che non possono perché:
              a) sono sole 
              b) non hanno un lavoro
              c) hanno un lavoro (e non vogliono perderlo)
              d) il loro compagno/marito non ha un lavoro o se gli va bene lo rinnovano a 3 mesi
              e) sono malate

        3. Gli uomini che se non fanno figli sono considerati cattive “leve” inutili alla società.
        4. Le coppie che hanno problemi di concepimento.



Ora, in barba anche ai palesi richiami alle più illustri ideologie nazionaliste, capirete bene che la Ministra (mamma di due gemelli a 43 anni), sia corsa ai ripari preparando un’altra campagna.
Olè!
Siamo in Italia ed i nostri strateghi sono quello che sono per carità, nessuno si aspettava un FertilityDay (che poi, come ha giustamente già evidenziato qualcuno pure il nome in inglese, ma perché???) geniale ed innovativo come quello della Danimarca (di cui vi rimando al link perché davvero possiate prendere atto dell’abisso che ci separa dai cugini danesi https://www.youtube.com/watch?v=vrO3TfJc9Qw ), ma attenzione, quella che a noi può sembrare fantascienza lontana anni luce, non è altro che un approccio realista e consapevole al tema perché basato, molto semplicemente, sul sacrosantissimo concetto dell’ INCENTIVO (parola quest’altra evidentemente sconosciuta nei grigi palazzi del Ministero).


Chiudiamo gli occhi e cerchiamo di dimenticare le enormi differenze socio economiche che ci separano da questi paesi, non serve certo che risorga Einstein per spiegare che le persone vanno incentivate dopo esser state debitamente informate, ma soprattutto lo capiamo anche noi comuni mortali che le proiezioni demografiche ci vedono da qui a 50 anni come un paese di vecchi e che quindi sì, è bello, buono e giusto fare i figli!

Bene!
Il nostro bel Ministro cosa fa?
Presenta l’altra campagna, questa più mirata agli stili di vita da assumere, e a quelli da non assumere, per avere una Fertility di ferro!
Ecco comparire opuscoli in pdf con immagini già usate per vari spot e locandine anni 90 in cui va in onda: “L’ariano è bello e poi c’è l’uomo nero.”
Il biondo è sano, il nero drogato.
Beatrice ci dice che il razzismo sta in chi lo vede, e c’avrà pure ragione, ma dico io, diciamo noi, possibile che questa campagna sia stata fatta proprio così, cioè proprio così male?
Contenuti meno di zero, grafica da far rabbrividire gli affezionati di Paint e testi di una delicatezza che manco Jack lo squartatore.
No, perché dovete sapere che (e qui riprendiamo il discorso dell’agenzia, almeno di quella presunta) questa Mediaticamente, con sede a Milano, ha vinto un appalto di 113.000 euro per dare vita a quest’oscenità, poi debitamente e prontamente cancellata dal loro portfolio secondo una moda lanciata dalla stessa Lorenzin.
Eh sì perché la Ministra prima lancia la campagna, poi twitta, poi licenzia (almeno così pare) e poi oscura temporaneamente il sito per cancellare i risultati di queste menti eccelse.
Che poi, se ti vai a fare una passeggiata sul sito del Ministero, scopri che hanno pure imparato cose nuove come lo streaming.
Seguono addirittura il recente trend del metterci la faccia per ispirare fiducia, tant’è che si trova il video della Bea che spiega la campagna per filo e per segno.
Certo, qualcuno le avrebbe potuto ricordare il famoso concetto dell’ incentivo, in modo che quella notiziona, secondo cui “ le società scientifiche che hanno aderito offriranno visite gratis una volta a settimana ai ragazzi dai 18 ai 25 anni nel prossimo mese”, l’avrebbe potuta annunciare con un po’  di enfasi in più.
Ma forse gli strateghi temevano che poi ci saremmo ribellati per davvero, rivendicando piuttosto diritti sul lavoro, asili nido, agevolazioni per i neo-genitori eccetera, eccetera, eccetera.



Lungi da me il volermi impelagare nel troppo facile discorso dei presupposti economici inesistenti, che lascio volentieri al Premier che ha archiviato il caso FertilityDay come “inguardabile”, ho cercato davvero di trovare una spiegazione a tutto questo.
E niente, se non voglio pensare che l’agenzia in questione abbia preso di mira la Ministra per qualche irrisolto dramma adolescenziale (hai visto mai qualche traumatico rifiuto tra i banchi di scuola o scambi di fidanzatini a tradimento), devo per forza dedurne che in realtà dietro tutto questo si celino i pubblicitari della Durex, ed allora sì che ci troveremmo di fronte a geni assoluti di marketing!



Una soluzione migliore potevano trovarla sfruttando le tantissime eccellenze che abbiamo in casa,…
che ne so pure chiedendo a Fedez di scritturare qualcuno per quello che sarebbe potuto diventare il nuovo tormentone della stagione “Andiamo a procreare”, e invece no, hanno preferito correre a cancellare!
Fonte: www.equazioni.org






venerdì 27 maggio 2016

Festa a Vico, la storia di mille storie, tra cucina e solidarietà direttamente a picco sul mare.


Anche quest’anno fremono i preparativi per Festa a Vico.
Non solo cibo ed alta cucina, non solo made in Italy e turismo, non solo solidarietà, ma tanti, tantissimi valori racchiusi in una festa che spegne quest’anno le sue prime 13 candeline.
Festa a Vico, è la storia di mille storie, che narrano di altrettante storie.
Photo credit:Luigi Savino
E’ la storia di Gennarino Esposito, gran maestro della cucina Italiana che da 13 anni promuove con amore e dedizione quest’evento che, nato quasi per gioco, è annoverato oggi tra i più importanti appuntamenti gastronomici italiani.
Festa a Vico è la storia di amici, ma soprattutto colleghi che si ritrovano una volta l’anno per strada a cucinare sì, ma non solo per i palati sopraffini dei ristoranti stellati, uniti da un obiettivo più ricco e grande, quello della solidarietà e della condivisione.

Tantissimi tra i più grandi Chef del panorama nazionale delizieranno le strade di Vico Equense nel già magico scenario della costiera sorrentina come di consueto per 3 serate a partire da Domenica 29 Maggio.
E non è cambiata la partenza, anche quest’anno dal cuore della Città con la “Repubblica del Cibo” che vuole lanciare l’idea di una nuova formula di ristorazione.

I piatti degli oltre 130 Chef emergenti saranno infatti serviti presso i negozi che resteranno aperti per l’occasione tutta la notte, per dar vita ad “una sagra nel senso originale del termine” come si legge dal sito dell’evento, per celebrare il Made in Italy a Vico Equense.

Photo credit: Adriano Gorgoni
Ospiti di questa edizione, che si prefigge un ritorno alle origini della festa, da cui il tema di quest’anno “Verso Vico”, gli Chef di Somma Vesuviana.
Nulla o quasi sembra quindi cambiato, incluse le modalità di partecipazione che, aperte a tutti per la prima serata con una piccola e minima donazione di 15 euro per le degustazioni, si sposta poi al Bikini per l’esclusiva “Cena di beneficenza” del 30 maggio da 200 posti, per concludersi poi al complesso turistico delle Axidie con “la Notte delle Stelle” in cui oltre 100 Chef stellati si alterneranno ai Maestri Pizzaioli e ai 20 Chef pasticcieri più promettenti d’Italia.

Un evento unico, in cui anche i più grandi esponenti della gastronomia contemporanea come Massimo Bottura ed Andrea Berton, si presteranno al sevizio di quel famoso gioco delle mani amiche, diventato ormai vero slogan della festa.
Mani che si stringono e collaborano per le Onlus Amiche (Noi con Voi, LILT e A.L.T.S.), cuori che danno spettacolo mostrando le eccellenze e la passione di un mestiere affascinante, senza nascondere la felicità e la bellezza di ritrovarsi insieme davanti ad un piatto di alta e sana cucina italiana.
Festa a Vico è tutto questo e molto altro, 
e noi, inutile a dirlo, saremo lì!
Photo credit: Adriano Gorgoni


Per info, donazioni e prenotazioni:


mercoledì 18 maggio 2016

Una vita immaginata di Ian Curtis

Ecco due spine nella zampa sulla figura di Ian Curtis che mi volevo togliere da diverso tempo.
Ho pensato che fra tanti necrologi più o meno sentiti ci sia posto anche per tentare di offrire una visione un po' diversa da quella canonizzata.
Ian agnello di dio che monda i peccati dal mondo, Ian sacrificio umano di una generazione X che si crede senza speranze, accettato come icona severa scolpita nella roccia, come un busto di Cesare (il taglio di capelli c'era) dai darkettoni della generazione Y, i millenial come me, nati dopo la sua morte violenta (e stupida). E oggi vagamente ricordato come cantante del gruppo della maglietta con le righine tanto amata degli hipsters.
 

Scrivo ascoltando Blast Furnace di Converter, nessuna atmosfera mancuniana o nostalgie. Per quello bastano i live di Peter Hook, bassista di Joy Division e New Order pronto a farvi scatenare sui vecchi pezzi di quel glorioso 1979.
E nessuna documentazione o excursus storico. Quello che vi propongo è un gioco, forse un po' irriverente vista l'importanza di Ian Curtis in un -parziale- immaginario collettivo.
Ian aveva costruito la sua immagine severa con delle attente scelte sulla grafica, l'illuminazione nei concerti, il tipo di dichiarazioni alla stampa, fino a raccomandarsi che nessuno del gruppo facesse battutine sciocche e sorrisi durante le interviste. Sapeva di ottenere per lui e la band un'immagine austera che inquietava un pubblico abituato all'attitudine it's only rock'n'roll, capelli lunghi e let's party. E voleva che questo immaginario da lui creato fosse preso sul serio e facesse parlare. L'operazione riuscì eccome, procurandogli ciò che voleva: successo e groupies. Perché era quello che i ragazzi di periferia di Manchester cercavano e ottennero.
 

L'assurdo suicidio lo cristallizza per sempre in questa bolla, dove è una marionetta con le convulsioni epilettiche sotto i lampi bianchi abbacinanti. Un santino portato in processione da goffe figure monacali.
Poi arrivano gli anni 80. Arrivano sul serio. Capelli cotonati, il tipico modo di ballare di tendenza, spalline più lunghe delle braccia e calzoni col risvolto sopra la caviglia da far impallidire un desiner milanese di oggi. Esplosione di stili gotici, neo romantici.
Anche Rober Smith nel 1979 aveva i capelli corti, una t-shirt bianca e un chiodo. Poi bamm! Gli esplose un polipo di cheratina sulla testa.

Mi chiedo cosa sarebbe successo a Ian se avesse resistito al richiamo di una corda e una sedia per beffarsi di tutti col suo egocentrismo. Se avesse aspettato un giorno, un mese, per accorgersi che in fondo non era male avere un gruppo di successo, una moglie da cui comunque poteva separarsi e divorziare, una bambina, una groupie innamorata, schiere di fan adoranti e il rispetto della scena post-punk, new wave di cui sarebbe comunque stato visto come un elemento di tutto rispetto.
 

Un Ian Curtis che segue i suoi compagni nell'avventura techno pop, va in tour con gli Erasure e viene ripreso dai tabloid scandalistici in flirt con Debbie Harry o Grace Jones, che voleva qualche dritta su come eseguire She's Lost Control e da cosa nasce cosa. Ian Curtis chiamato venduto dai veri punk duri e puri che boicottano i suoi concerti perchè non solo non è un Kompagno, ma è certamente pure un fascista (si autodefiniva un tory, un conservatore). È quello che sarebbe successo se fosse venuto a suonare nella politicizzatissima Italia, che lo avrebbe trattato in maniera vergognosa. Lo avrebbe difeso Red Ronnie, mentre i punk dei centri sociali gli tiravano i pomodori marci addosso. Allora non è meglio che l'Italia per lui sia rimasta quella delle tombe del cimitero comunale di Staglieno delle copertine di Closer e Love Will Tear Us Apart?

Se avesse vissuto altri anni ancora non sarebbe entrato nel Mito del Rocker Suicida sotto Kurt Cobain e sopra Rozz Williams (stai comodo?).

Cantando successi techno pop kitch, orecchiabili e onnipresenti in ogni supermercato, rilasciando dichiarazioni discutibili che lo avrebbero fatto odiare più di GL Ferretti e Donald Trump messi insieme, con la sua fama che declina piano piano come quella di un povero Adrian Borland qualunque (chi? appunto), per poi suicidarsi stempiato e con la pancetta nell'indifferenza generale degli anni 2000. Oggi non staremmo a ricordarci di lui tanto ossessivamente e staremmo bene lo stesso, grazie. Felice iannimortario a tutti.

martedì 10 maggio 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot


"Lo chiamavamo Jeeg Robot" è la prova materiale del fatto che con un'idea si possa vincere (su) tutto.
 Un cerchio che si chiude, una storia ben strutturata, completa e coerente dal primo all'ultimo minuto.
Un supereroe a Roma, in un contesto reale, preciso e definito.
Per quelli che, come me, hanno vissuto un'infanzia spensierata, sdraiati sulla poltrona  del nonno a guardare i cartoni animati, tutto ha un senso.
La pagina in bianco e nero di un fumetto nascosto sotto pelle si colora magicamente, e riaffiora, come un tatuaggio segreto.
Il gioco è lo stesso di sempre: i cattivi che vogliono conquistare il mondo, e i buoni che cercano di salvarlo. Un demone buono e un demone cattivo, si scontrano (in me), direbbe Morgan. Prima di incontrarsi,  i due demoni, si dimenano tra furti, droga e violenza... e vanità. Perché l'affermazione di se stessi, e del proprio potere, passa anche attraverso l'immagine.
Il contesto è crudo, la colonna sonora è forte, la fotografia di grande effetto.
Gli attori sono (in)credibili, la sceneggiatura divertente, i colpi di scena non mancano.
L' eroe buono è un po' stordito ed inesperto, distratto e disilluso; subisce mutazioni genetiche come Hulk, perde la sua amata come Ken il guerriero, affronta il suo antagonista come nei migliori combattimenti tra robot.
L' Hiroshi Shiba dei quartieri popolari, Devilman contemporaneo, ama una donna fragile, che gli illumina la vita con delicatezza.
Il livello non cala mai, con Marinelli e Santamaria all'altezza di Superman e Spiderman.
L'eroe cattivo è di paiettes vestito, è vanitoso, capriccioso e inauditamente violento, con lo sguardo dolce delle menti perdute, quello che inganna.
Non ci sono artifici né prese in giro. E' una racconto di fantasia reale al 100%.
Non è magia, è  il cinema italiano con la sua intelligenza, che buca lo schermo senza bisogno di effetti speciali, senza fumo e controfigure; che si avvale di attori  bravi, di storie concluse, che comunica in maniera sottile, creando l'armonia alternando bellezza, sensibilità, violenza, forza, e semplicità.
Perché per essere supereroi non servono sovrastrutture.
Il coraggio è dentro, e si esprime nella voglia di raccontare una storia.
E se non una batmobile non te la puoi permettere, sappi che non è necessaria: è sufficiente una maschera di lana.

venerdì 29 aprile 2016

Buon 30esimo compleanno Internet, quanti motivi per festeggiarti? Più di 30 sicuramente!

30 Aprile 1986, vi dice niente?
Anni '80: vi evocano un passato abbastanza recente o qualcosa di confinato nel remoto?
Non so voi, ma pensare che Internet e la rete in Italia abbiano già compiuto 30'anni fa uno strano effetto.
Sì, avete capito bene, l'era digitale, quella moderna e post moderna, è entrata nella trentina.
E pensare che all'epoca non tutti erano ne erano convinti, c'è gente al mondo che non ha scommesso su Internet. Eh!
La rivoluzione delle rivoluzioni.
Internet è stato artefice di un cambiamento che ha dell'inimmaginabile, ed ha coinvolto tutti, grandi, piccini e super grandi, scettici ed ottimisti, progressisti ed amanti del passato.
Ci pensate a cos'era la nostra vita prima?
Ci pensate mai a come sarebbe stato?
Forse no, tanto che è penetrata nelle nostre vite a 360°, eppure se vi soffermate un attimo a riflettere su questa cosa, ha dell'incredibile.
Non è retorica dire che ha accorciato, se non in qualche caso abbattuto, le distanze, potenziato enormemente la circolazione dell'informazione e favorito la globalizzazione come mai nulla prima.
Se qualcuno partiva per l'altro capo del mondo, cosa avevamo?
Lettere, telefono, fax e giorni e giorni per avere notizie...
Oggi?
In un attimo mandiamo una mail, una foto, giriamo un video, ci scambiamo messaggi audio e possiamo incontrarci in rete, quando e dove vogliamo.
Cioè, seriamente, immaginiamo per un attimo se domani mattina non avessimo Internet e quindi Google, Wikipedia, Facebook, Instagram, Whatsapp, Outlook, Skype, etc, etc, etc??!
L'Apocalisse!!!
Sì, forse peggio!
Noi di Fumo Fucsia non esisteremmo nemmeno!
Motivo per cui oggi abbiamo tanto da festeggiare, ma soprattutto tanto da ringraziare quegli studiosi, pionieri ed avanguardisti che dal Centro nazionale universitario di calcolo elettronico del Cnr di Pisa, stabilirono la primissima connessione verso gli Stati Uniti ad Aparnet, il primo login!
Da lì, è stato tutto un piede "piantato" sull'acceleratore, ed i risultati, sempre più straordinari, sono sotto gli occhi di tutti, alla portata di un clic!



sabato 16 aprile 2016

Salone del mobile 2016, Milano al centro del mondo!

In questi giorni Milano è un tripudio di etnie, colori, folle, arte, idee e  bellezza.
Ricorre infatti la 55esima edizione del Salone del Mobile, la più importante fiera del settore di respiro internazionale, e, davvero, non si può non parlarne.

Oltre 2400 gli espositori e 160 i paesi rappresentati; i mondi del design e del futuro aprono le porte ad addetti e non, mostrando l'ultima frontiera del bello, o meglio, dell'utile che si fa bello.
Tantissime le presenze illustri, ma soprattutto i colossi del Made in Italy che, in occasioni come questa, possono avere più di un motivo per sbandierare il tricolore.

Ma veniamo ai protagonisti: tra cucine quasi spaziali, bagni da sogno e complementi d'arredo da galleria d'arte, sono al centro le idee, spesso brillanti, la tecnologia, sale delle nostre vite,  il rapporto uomo-macchina che cerca di ridefinirsi e migliorarsi sempre più.


Eppure a chi pensa che a queste fiere si celebri il puro astrattismo, c'è da dire che si sbaglia. Basti pensare al Fuorisalone per le vie di Milano che accoglie artisti da ogni dove, colorandosi di genialità e talento. Quest'anno si parte dall'Università statale ed è tutto un gioco di contrasti tra i chiostri del '400 e le miriadi di istallazioni ultramoderne allestite dappertutto, persino sui tetti!

Checché se ne dica, la Milano Design Week è ormai qualcosa che va ben oltre la nicchia dell'architettura e dell'estetica fine a se stessa.
E' piuttosto un'occasione quasi unica di mostrare i frutti di un progresso, che seppur straordinario grazie all'ausilio di tecnologie all'avanguardia, resta pur sempre figlio del genio di chi li crea.
Ricordate le esposizioni universali? 
Ecco il Salone del Mobile ne è un loro degno successore.


Un evento di rilevanza mondiale che arriva ad abbracciare infiniti campi, un evento fatto di eventi, molteplici, variegati, eterogenei alla massima potenza.
C’è spazio per tutto al Salone del Mobile 2016!
Qualche esempio?
Un colosso come Kartell mette al centro della sua esposizione “Kartell Kids” la nuova linea dedicata interamente ai bambini con gli oggetti d’arredo che diventano giochi, rivisitati ed elaborati in chiave moderna ovviamente, ma che rappresentano comunque il ritorno dell’azienda agli arredi per bimbi dopo 50 anni: “colori pastello, estrose sagome di plastica, e il ricordo del gioco che si fonde alla funzionalità dell’oggetto”.


L’autore di Gomorra ha realizzato un cortometraggio ad hoc, si è presentato al mondo il primo divano meccanico e trasformabile, ed ancora, c'è spazio per il lusso, con un padiglione interamente dedicato ai Big dell’alta moda, e c’è spazio persino per la “cacca” con “The Shit Evolution” una serie di suppellettili di arredo domestico impastati con merda di vacca.


Infine, ad allietare ulteriormente queste giornate milanesi, quest'anno c'è anche tanto tanto caffè, e chi come noi è particolarmente sensibile al tema, proprio non può evitare di accorgersene. 
C'è Illy che festeggia svariati anniversari, quello della carriera, della sua prima macchina "Illetta" e delle ultime novità in campo tecnologico, offrendo ai presenti un percorso plurisensoriale e personalizzato per veri adepti, c'è Lavazza che con il suo "Coffee Design" presenta ricette elaborate ed ideate da chef del calibro di Cracco per rendere possibile il concetto del design in una tazzina di caffè, e c'è Kimbo dentro e fuori il Salone, praticamente per tutta Milano, praticamente ad ogni padiglione che conta. 

Insomma, recita bene lo spot di casa: "O ci sei. O ci devi essere".
Ed infatti, se siete in zona, affrettatevi! 
Da oggi sarà anche completamente aperto al pubblico ed avrete l'occasione di sbirciare una vetrina sul futuro che, almeno per qualche giorno, vi sembrerà presente!



FIERA MILANO - RHO
12-17 Aprile, 2016