mercoledì 18 maggio 2016

Una vita immaginata di Ian Curtis

Ecco due spine nella zampa sulla figura di Ian Curtis che mi volevo togliere da diverso tempo.
Ho pensato che fra tanti necrologi più o meno sentiti ci sia posto anche per tentare di offrire una visione un po' diversa da quella canonizzata.
Ian agnello di dio che monda i peccati dal mondo, Ian sacrificio umano di una generazione X che si crede senza speranze, accettato come icona severa scolpita nella roccia, come un busto di Cesare (il taglio di capelli c'era) dai darkettoni della generazione Y, i millenial come me, nati dopo la sua morte violenta (e stupida). E oggi vagamente ricordato come cantante del gruppo della maglietta con le righine tanto amata degli hipsters.
 

Scrivo ascoltando Blast Furnace di Converter, nessuna atmosfera mancuniana o nostalgie. Per quello bastano i live di Peter Hook, bassista di Joy Division e New Order pronto a farvi scatenare sui vecchi pezzi di quel glorioso 1979.
E nessuna documentazione o excursus storico. Quello che vi propongo è un gioco, forse un po' irriverente vista l'importanza di Ian Curtis in un -parziale- immaginario collettivo.
Ian aveva costruito la sua immagine severa con delle attente scelte sulla grafica, l'illuminazione nei concerti, il tipo di dichiarazioni alla stampa, fino a raccomandarsi che nessuno del gruppo facesse battutine sciocche e sorrisi durante le interviste. Sapeva di ottenere per lui e la band un'immagine austera che inquietava un pubblico abituato all'attitudine it's only rock'n'roll, capelli lunghi e let's party. E voleva che questo immaginario da lui creato fosse preso sul serio e facesse parlare. L'operazione riuscì eccome, procurandogli ciò che voleva: successo e groupies. Perché era quello che i ragazzi di periferia di Manchester cercavano e ottennero.
 

L'assurdo suicidio lo cristallizza per sempre in questa bolla, dove è una marionetta con le convulsioni epilettiche sotto i lampi bianchi abbacinanti. Un santino portato in processione da goffe figure monacali.
Poi arrivano gli anni 80. Arrivano sul serio. Capelli cotonati, il tipico modo di ballare di tendenza, spalline più lunghe delle braccia e calzoni col risvolto sopra la caviglia da far impallidire un desiner milanese di oggi. Esplosione di stili gotici, neo romantici.
Anche Rober Smith nel 1979 aveva i capelli corti, una t-shirt bianca e un chiodo. Poi bamm! Gli esplose un polipo di cheratina sulla testa.

Mi chiedo cosa sarebbe successo a Ian se avesse resistito al richiamo di una corda e una sedia per beffarsi di tutti col suo egocentrismo. Se avesse aspettato un giorno, un mese, per accorgersi che in fondo non era male avere un gruppo di successo, una moglie da cui comunque poteva separarsi e divorziare, una bambina, una groupie innamorata, schiere di fan adoranti e il rispetto della scena post-punk, new wave di cui sarebbe comunque stato visto come un elemento di tutto rispetto.
 

Un Ian Curtis che segue i suoi compagni nell'avventura techno pop, va in tour con gli Erasure e viene ripreso dai tabloid scandalistici in flirt con Debbie Harry o Grace Jones, che voleva qualche dritta su come eseguire She's Lost Control e da cosa nasce cosa. Ian Curtis chiamato venduto dai veri punk duri e puri che boicottano i suoi concerti perchè non solo non è un Kompagno, ma è certamente pure un fascista (si autodefiniva un tory, un conservatore). È quello che sarebbe successo se fosse venuto a suonare nella politicizzatissima Italia, che lo avrebbe trattato in maniera vergognosa. Lo avrebbe difeso Red Ronnie, mentre i punk dei centri sociali gli tiravano i pomodori marci addosso. Allora non è meglio che l'Italia per lui sia rimasta quella delle tombe del cimitero comunale di Staglieno delle copertine di Closer e Love Will Tear Us Apart?

Se avesse vissuto altri anni ancora non sarebbe entrato nel Mito del Rocker Suicida sotto Kurt Cobain e sopra Rozz Williams (stai comodo?).

Cantando successi techno pop kitch, orecchiabili e onnipresenti in ogni supermercato, rilasciando dichiarazioni discutibili che lo avrebbero fatto odiare più di GL Ferretti e Donald Trump messi insieme, con la sua fama che declina piano piano come quella di un povero Adrian Borland qualunque (chi? appunto), per poi suicidarsi stempiato e con la pancetta nell'indifferenza generale degli anni 2000. Oggi non staremmo a ricordarci di lui tanto ossessivamente e staremmo bene lo stesso, grazie. Felice iannimortario a tutti.

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