venerdì 27 maggio 2016

Festa a Vico, la storia di mille storie, tra cucina e solidarietà direttamente a picco sul mare.


Anche quest’anno fremono i preparativi per Festa a Vico.
Non solo cibo ed alta cucina, non solo made in Italy e turismo, non solo solidarietà, ma tanti, tantissimi valori racchiusi in una festa che spegne quest’anno le sue prime 13 candeline.
Festa a Vico, è la storia di mille storie, che narrano di altrettante storie.
Photo credit:Luigi Savino
E’ la storia di Gennarino Esposito, gran maestro della cucina Italiana che da 13 anni promuove con amore e dedizione quest’evento che, nato quasi per gioco, è annoverato oggi tra i più importanti appuntamenti gastronomici italiani.
Festa a Vico è la storia di amici, ma soprattutto colleghi che si ritrovano una volta l’anno per strada a cucinare sì, ma non solo per i palati sopraffini dei ristoranti stellati, uniti da un obiettivo più ricco e grande, quello della solidarietà e della condivisione.

Tantissimi tra i più grandi Chef del panorama nazionale delizieranno le strade di Vico Equense nel già magico scenario della costiera sorrentina come di consueto per 3 serate a partire da Domenica 29 Maggio.
E non è cambiata la partenza, anche quest’anno dal cuore della Città con la “Repubblica del Cibo” che vuole lanciare l’idea di una nuova formula di ristorazione.

I piatti degli oltre 130 Chef emergenti saranno infatti serviti presso i negozi che resteranno aperti per l’occasione tutta la notte, per dar vita ad “una sagra nel senso originale del termine” come si legge dal sito dell’evento, per celebrare il Made in Italy a Vico Equense.

Photo credit: Adriano Gorgoni
Ospiti di questa edizione, che si prefigge un ritorno alle origini della festa, da cui il tema di quest’anno “Verso Vico”, gli Chef di Somma Vesuviana.
Nulla o quasi sembra quindi cambiato, incluse le modalità di partecipazione che, aperte a tutti per la prima serata con una piccola e minima donazione di 15 euro per le degustazioni, si sposta poi al Bikini per l’esclusiva “Cena di beneficenza” del 30 maggio da 200 posti, per concludersi poi al complesso turistico delle Axidie con “la Notte delle Stelle” in cui oltre 100 Chef stellati si alterneranno ai Maestri Pizzaioli e ai 20 Chef pasticcieri più promettenti d’Italia.

Un evento unico, in cui anche i più grandi esponenti della gastronomia contemporanea come Massimo Bottura ed Andrea Berton, si presteranno al sevizio di quel famoso gioco delle mani amiche, diventato ormai vero slogan della festa.
Mani che si stringono e collaborano per le Onlus Amiche (Noi con Voi, LILT e A.L.T.S.), cuori che danno spettacolo mostrando le eccellenze e la passione di un mestiere affascinante, senza nascondere la felicità e la bellezza di ritrovarsi insieme davanti ad un piatto di alta e sana cucina italiana.
Festa a Vico è tutto questo e molto altro, 
e noi, inutile a dirlo, saremo lì!
Photo credit: Adriano Gorgoni


Per info, donazioni e prenotazioni:


mercoledì 18 maggio 2016

Una vita immaginata di Ian Curtis

Ecco due spine nella zampa sulla figura di Ian Curtis che mi volevo togliere da diverso tempo.
Ho pensato che fra tanti necrologi più o meno sentiti ci sia posto anche per tentare di offrire una visione un po' diversa da quella canonizzata.
Ian agnello di dio che monda i peccati dal mondo, Ian sacrificio umano di una generazione X che si crede senza speranze, accettato come icona severa scolpita nella roccia, come un busto di Cesare (il taglio di capelli c'era) dai darkettoni della generazione Y, i millenial come me, nati dopo la sua morte violenta (e stupida). E oggi vagamente ricordato come cantante del gruppo della maglietta con le righine tanto amata degli hipsters.
 

Scrivo ascoltando Blast Furnace di Converter, nessuna atmosfera mancuniana o nostalgie. Per quello bastano i live di Peter Hook, bassista di Joy Division e New Order pronto a farvi scatenare sui vecchi pezzi di quel glorioso 1979.
E nessuna documentazione o excursus storico. Quello che vi propongo è un gioco, forse un po' irriverente vista l'importanza di Ian Curtis in un -parziale- immaginario collettivo.
Ian aveva costruito la sua immagine severa con delle attente scelte sulla grafica, l'illuminazione nei concerti, il tipo di dichiarazioni alla stampa, fino a raccomandarsi che nessuno del gruppo facesse battutine sciocche e sorrisi durante le interviste. Sapeva di ottenere per lui e la band un'immagine austera che inquietava un pubblico abituato all'attitudine it's only rock'n'roll, capelli lunghi e let's party. E voleva che questo immaginario da lui creato fosse preso sul serio e facesse parlare. L'operazione riuscì eccome, procurandogli ciò che voleva: successo e groupies. Perché era quello che i ragazzi di periferia di Manchester cercavano e ottennero.
 

L'assurdo suicidio lo cristallizza per sempre in questa bolla, dove è una marionetta con le convulsioni epilettiche sotto i lampi bianchi abbacinanti. Un santino portato in processione da goffe figure monacali.
Poi arrivano gli anni 80. Arrivano sul serio. Capelli cotonati, il tipico modo di ballare di tendenza, spalline più lunghe delle braccia e calzoni col risvolto sopra la caviglia da far impallidire un desiner milanese di oggi. Esplosione di stili gotici, neo romantici.
Anche Rober Smith nel 1979 aveva i capelli corti, una t-shirt bianca e un chiodo. Poi bamm! Gli esplose un polipo di cheratina sulla testa.

Mi chiedo cosa sarebbe successo a Ian se avesse resistito al richiamo di una corda e una sedia per beffarsi di tutti col suo egocentrismo. Se avesse aspettato un giorno, un mese, per accorgersi che in fondo non era male avere un gruppo di successo, una moglie da cui comunque poteva separarsi e divorziare, una bambina, una groupie innamorata, schiere di fan adoranti e il rispetto della scena post-punk, new wave di cui sarebbe comunque stato visto come un elemento di tutto rispetto.
 

Un Ian Curtis che segue i suoi compagni nell'avventura techno pop, va in tour con gli Erasure e viene ripreso dai tabloid scandalistici in flirt con Debbie Harry o Grace Jones, che voleva qualche dritta su come eseguire She's Lost Control e da cosa nasce cosa. Ian Curtis chiamato venduto dai veri punk duri e puri che boicottano i suoi concerti perchè non solo non è un Kompagno, ma è certamente pure un fascista (si autodefiniva un tory, un conservatore). È quello che sarebbe successo se fosse venuto a suonare nella politicizzatissima Italia, che lo avrebbe trattato in maniera vergognosa. Lo avrebbe difeso Red Ronnie, mentre i punk dei centri sociali gli tiravano i pomodori marci addosso. Allora non è meglio che l'Italia per lui sia rimasta quella delle tombe del cimitero comunale di Staglieno delle copertine di Closer e Love Will Tear Us Apart?

Se avesse vissuto altri anni ancora non sarebbe entrato nel Mito del Rocker Suicida sotto Kurt Cobain e sopra Rozz Williams (stai comodo?).

Cantando successi techno pop kitch, orecchiabili e onnipresenti in ogni supermercato, rilasciando dichiarazioni discutibili che lo avrebbero fatto odiare più di GL Ferretti e Donald Trump messi insieme, con la sua fama che declina piano piano come quella di un povero Adrian Borland qualunque (chi? appunto), per poi suicidarsi stempiato e con la pancetta nell'indifferenza generale degli anni 2000. Oggi non staremmo a ricordarci di lui tanto ossessivamente e staremmo bene lo stesso, grazie. Felice iannimortario a tutti.

martedì 10 maggio 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot


"Lo chiamavamo Jeeg Robot" è la prova materiale del fatto che con un'idea si possa vincere (su) tutto.
 Un cerchio che si chiude, una storia ben strutturata, completa e coerente dal primo all'ultimo minuto.
Un supereroe a Roma, in un contesto reale, preciso e definito.
Per quelli che, come me, hanno vissuto un'infanzia spensierata, sdraiati sulla poltrona  del nonno a guardare i cartoni animati, tutto ha un senso.
La pagina in bianco e nero di un fumetto nascosto sotto pelle si colora magicamente, e riaffiora, come un tatuaggio segreto.
Il gioco è lo stesso di sempre: i cattivi che vogliono conquistare il mondo, e i buoni che cercano di salvarlo. Un demone buono e un demone cattivo, si scontrano (in me), direbbe Morgan. Prima di incontrarsi,  i due demoni, si dimenano tra furti, droga e violenza... e vanità. Perché l'affermazione di se stessi, e del proprio potere, passa anche attraverso l'immagine.
Il contesto è crudo, la colonna sonora è forte, la fotografia di grande effetto.
Gli attori sono (in)credibili, la sceneggiatura divertente, i colpi di scena non mancano.
L' eroe buono è un po' stordito ed inesperto, distratto e disilluso; subisce mutazioni genetiche come Hulk, perde la sua amata come Ken il guerriero, affronta il suo antagonista come nei migliori combattimenti tra robot.
L' Hiroshi Shiba dei quartieri popolari, Devilman contemporaneo, ama una donna fragile, che gli illumina la vita con delicatezza.
Il livello non cala mai, con Marinelli e Santamaria all'altezza di Superman e Spiderman.
L'eroe cattivo è di paiettes vestito, è vanitoso, capriccioso e inauditamente violento, con lo sguardo dolce delle menti perdute, quello che inganna.
Non ci sono artifici né prese in giro. E' una racconto di fantasia reale al 100%.
Non è magia, è  il cinema italiano con la sua intelligenza, che buca lo schermo senza bisogno di effetti speciali, senza fumo e controfigure; che si avvale di attori  bravi, di storie concluse, che comunica in maniera sottile, creando l'armonia alternando bellezza, sensibilità, violenza, forza, e semplicità.
Perché per essere supereroi non servono sovrastrutture.
Il coraggio è dentro, e si esprime nella voglia di raccontare una storia.
E se non una batmobile non te la puoi permettere, sappi che non è necessaria: è sufficiente una maschera di lana.